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28 dic 2010

Il Grand Hotel di Fellini non chiude e salva lo show di Capodanno

Dopo un secolo di vita, i passaggi di proprietà, Coppola e gli immobiliaristi, lo storico albergo di Rimini archivia anche l'anno della crisi. L'annunciata chiusura invernale è stata scongiurata e i dipendenti che avevano minacciato di interrompere la diretta di Rai Uno del 31 dicembre fanno marcia indietro: accordo raggiunto con la proprietà


Ce l'ha fatta nuovamente, all'ultimo minuto, sul filo delle proteste con il conto alla rovescia già cominciato. Il Grand Hotel di Rimini, albergo trasfigurato in mito da Federico Fellini, non chiuderà d'inverno. Non diventerà una pensione qualsiasi, una struttura stagionale con dipendenti precari. E questo nonostante l'annuncio del proprietario Antonio Batani, ex cameriere e ora imperatore del turismo, che aveva alzato bandiera bianca di fronte all'evidenza dei conti. Diceva che i guadagni dell'estate non coprivano i costi dell'inverno e che l'unica soluzione era sbarrare il portone da gennaio a Pasqua.  All'annuncio erano seguite le barricate: delle istituzioni, dei sindacati ma soprattutto dei dipendenti che avevano minacciato di salire sul palco dello show di Capodanno, interrompendo il conto alla rovescia degli italiani sintonizzati su Rai Uno. Diventare in massa stagionali, con l'incubo della precarietà che avanza non piaceva a nessuno, ma oggi lo scenario è mutato: accordo raggiunto. Nessun colpo al cuore all'epica del Grand Hotel, solo un'altra pagina difficile, una delle tante nella sua lunga e travagliata vita.
 
Il simbolo del lusso. Era il 1909 quando il Grand Hotel iniziò la sua grandiosa stagione. Fellini lo consacrò al mito, ambientandoci parte di Amarcord: cosa accadeva nelle sue stanze, tra i marmi neri del bagno e i legni scrostati che nulla toglievano, anzi aggiungevano, al suo fascino d'altri tempi? Mussolini e la Petacci, Lady D, Guglielmo Marconi, principi arabi e visir continuavano a passeggiarvi incuranti o forse deliziati dagli sguardi di chi, da fuori, poteva solo immaginare.Vennero i tempi bui e l'addio del suo storico patron, Pietro Arpesella, un signore che si congedò dal mondo in scarpe di coccodrillo e completo grigio: si sparò un colpo di pistola all'addome lasciando un biglietto che era un inno alla vita: "Quant'è bella Rimini, baciata dai primi raggi di sole". Vennero i tempi di Coppola che voleva stringere tra le sue mani non un semplice albergo, ma un monumento nazionale come era stato dichiarato nel 1994. I creditori, i passaggi di proprietà, le traversie non avevano intaccato la sua sacralità: cuochi, camerieri, direttori continuavano a salire e a scendere i grandi scaloni, sorridendo come se i problemi non fossero i loro perchè non erano semplici lavoratori, ma l'anima stessa del Grand Hotel, il sogno del lusso che non può tramontare. 

La crisi e le proteste. Nel 2010, anno della grande crisi, il Grand Hotel ha mostrato le sue crepe. L'annuncio della chiusura ha scatenato un braccio di ferro che si è risolto solo dopo la minaccia di una protesta esclatante: i dipendenti avevano deciso di incrociare le braccia il 31 dicembre e il 1 gennaio. Non solo l'albergo di Fellini si sarebbe fermato, ma lo avrebbe fatto sotto lo sguardo degli italiani, in diretta televisiva su Rai Uno. I lavoratori, infatti, avevano annunciato che sarebbero saliti sul palco dello show di capodanno, che avrebbero rovinato la festa parlando di crisi e precarietà. 

L'accordo. La proprietà, i sindacati, la Provincia e la Regione hanno trovato la soluzione: Grand Hotel aperto tutto l'anno. Dei 40 lavoratori a tempo determinato, solo 18 diventeranno stagionali e saranno scelti tenendo conto dell'anzianità e dei carichi famigliari. Lavoreranno comunque per nove mesi l'anno. Per i trentuno che già erano a tempo determinato non cambierà nulla. Questa mattina i lavoratori hanno ratificato l'accordo: di più non potevano ottenere.  Non ci sarà nessuna protesta eclatante, nessun addio sotto i riflettori al simbolo del lusso. Il Grand Hotel resisterà come la fotografia sbiadita di un'Italia che decisamente non c'è più.

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