Marcello Dell'Utri ha «protetto» Berlusconi da minacce e ritorsioni della mafia grazie ai buoni rapporti con i boss di Cosa Nostra. Almeno fino al 1992. Ma non c'è alcuna prova «concreta» che sia esistito un «patto politico-mafioso» – quindi elettorale – tra Dell'Utri e le organizzazioni criminali siciliane. Sono i due punti fondamentali presenti nelle motivazioni della sentenza di condanna del senatore del Pdl a 7 anni e che la Corte di Appello di Palermo ha depositato ieri. Motivazioni che hanno «avvelenato» ancora di più il clima politico. Facendo scattare da parte dei partiti dell'opposizione la richiesta di dimissioni sia del premier sia di Marcello Dell'Utri. «I giudici hanno ricicciato le stesse cose della sentenza di primo grado – ha invece commentato il senatore, spiegando comunque di non aver ancora potuto leggere le carte depositate dai magistrati – Sono sostanzialmente le stesse accuse del primo processo. È una materia trita e ritrita non c'è nulla di nuovo sono tutte cose che abbiamo già visto». Nonostante tutto Dell'Utri continua a dirsi «fiducioso» e lo sarà «fino all'ultimo momento». «Altrimenti che faccio – aggiunge – mi uccido?». «Non vedo come mi possono condannare sul nulla – prosegue – Saranno i miei avvocati cassazionisti ad occuparsi adesso del caso, prepareranno una difesa adeguata per rispondere a tutte le accuse e alle motivazioni della sentenza di secondo grado».
L'accusa aveva sostenuto che Dell'Utri avrebbe stipulato nel 1994 un «patto di scambio» che per i giudici non è stato accertato: «Non risulta infatti provato né che l'imputato Marcello Dell'Utri abbia assunto impegni nei riguardi del sodalizio mafioso, né che tali pretesi impegni, il cui contenuto riferito da taluni collaboranti (generica promessa di interventi legislativi e di modifiche normative) difetta di ogni specificità e concretezza, siano stati in alcun modo rispettati ovvero abbiano comunque efficacemente ed effettivamente inciso sulla conservazione e sul rafforzamento del sodalizio mafioso». E da questa imputazione il senatore del Pdl è stato infatti assolto. Diverso il discorso, secondo i giudici, per l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per la quale il parlamentare del Pdl è stato condannato a sette anni. Marcello Dell'Utri, si legge nelle motivazioni, «ha svolto, ricorrendo all'amico Gaetano Cinà ed alle sue "autorevoli" conoscenze e parentele, un'attività di "mediazione" quale canale di collegamento tra l'associazione mafiosa Cosa nostra, in persona del suo più influente esponente dell'epoca, Stefano Bontate, e Silvio Berlusconi, così apportando un consapevole rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo».
Una «mediazione» tra i boss e l'attuale presidente del Consiglio che durò per due decenni, con la quale avrebbe consentito «all'associazione mafiosa, con piena coscienza e volontà, di perpetrare un'intensa attività estorsiva ai danni del facoltoso imprenditore milanese imponendogli sistematicamente il pagamento di ingenti somme di denaro in cambio di "protezione" personale e familiare». Non oltre il 1992, hanno pero' sancito i giudici, periodo dopo il quale i pagamenti sarebbero cessati, come dichiarato da quasi tutti i collaboratori di giustizia.
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