Le scelte del Consiglio europeo di dicembre sulla riduzione del debito pubblico possono condizionare l'esito del prossimo voto di fiducia. La Ue potrebbe chiederci una manovra correttiva né ribaltoni, né voto anticipato
L'ordine del giorno, infatti, prevede la revisione del patto di stabilità. E al suo interno un capitolo che tocca molto da vicino il nostro Paese: il risanamento del debito pubblico. L'accordo non è scontato. La Commissione europea, però, da tempo ha chiesto l'adozione di misure severe per costringere i partner europei ad avvicinarsi al parametro che prevede la soglia del 60% nel rapporto debito-Pil. "Possiamo permetterci di sottovalutare questo problema? - è il richiamo del presidente della Repubblica - Nessuno può farlo". Anche se il voto di fiducia del 14 dicembre che sta facendo traballare il centrodestra è ormai vicino.
Proprio il giorno prima del summit europeo, dunque, il governo potrebbe essere sfiduciato e presentarsi dimissionario alla delicatissima trattativa di Bruxelles. Un elemento che costituisce una "preoccupazione" per la massima carica del Paese e che sta diventando l'oggetto dei contatti tra le forze politiche di centrodestra e dell'opposizione. Soprattutto sul Colle stanno ora sottolineando l'opportunità che ad affrontare una situazione di questo tipo sia un governo nella pienezza dei suoi poteri e con una maggioranza solida. Perché se la revisione del patto di Stabilità dovesse imporre una rientro dal debito in tempi brevi, un primo intervento potrebbe rendersi necessario già in primavera. L'Italia ha in Europa il debito più alto, con il 118,2%, dopo la Grecia (124,9%). E se venissero confermate le iniziali richieste della Commissione, si tratterebbe di una correzione dei conti superiore a 25 miliardi di euro. Una stangata che solo un esecutivo solido e non preelettorale si può permettere. Come dice Pier Ferdinando Casini, "servirebbe una Grande coalizione come in Germania".
E allora non è un caso che lo stesso Berlusconi di recente abbia iniziato a parlare in termini tranquillizzanti di Napolitano: "Ormai è chiaro che non avallerà ribaltoni". Ma è anche chiaro raccontano gli uomini del Pd in contatto con il presidente della Repubblica che "non vuole nemmeno arrivare alle elezioni anticipate". E in effetti il messaggio lanciato dagli ambasciatori del Colle è proprio questo: "Né ribaltoni, né voto anticipato". In caso di crisi, il capo dello Stato si atterrà ovviamente alle prerogative che gli attribuisce la Costituzione, nella convinzione che bisogna affrontare al meglio la tempesta economica che, partendo dall'Irlanda, rischia di investire l'intera Unione europea. "Chi si assume la responsabilità di andare al voto in questo contesto?", è la domanda che stanno ripetendo al Quirinale. Non solo. Napolitano ha nei giorni scorsi fatto notare le differenze tra l'attuale situazione e quella che portò alla formazione dei cosiddetti esecutivi tecnici, quello di Ciampi e quello di Dini. "Il primo - ha ricordato - venne indicato dal premier uscente Amato e aveva il sostegno dei quattro partiti di maggioranza con l'astensione del Pds. Il secondo venne indicato da Berlusconi e dal partito principale. Non si trattava di governi che non tenessero conto della maggioranza".
La gravità della situazione allora sta orientando il confronto in tutte le forze politiche. "Chi chiede di andare a votare con una tale emergenza?", si interroga il segretario Pd, Pierluigi Bersani. Tra i democratici non manca chi ricorda la solidarietà nazionale, una formula varata anche perché l'inflazione navigava oltre il 20%. "Forse - è il dubbio di Pier Ferdinando Casini - sarebbe meglio anche per noi che Berlusconi andasse ancora un po' avanti. Anche per tenerlo a bagnomaria". Ma investe in primo luogo il centrodestra. Il Cavaliere ha iniziato a prendere in esame l'ipotesi del bis con un allargamento ai centristi. Ma si sta anche squarciando in anticipo il velo che copriva la corsa al "dopo-Berlusconi". Perché, come scriveva l'Economist, "Berlusconi non rappresenta la stabilità, ma la stagnazione".
"Se avremo una fiducia risicata - ammette allora un autorevole ministro del Pdl - potremo davvero andare avanti? E se Napolitano non ci darà le elezioni anticipate e non accetterà ribaltoni, cosa faremo? Dovremo dar vita ad un nuovo governo e una nuova coalizione. Senza Silvio, però". Appunto, un esecutivo che possa trattare a pieno titolo con i partner europei e sia in grado di sostenere l'impopolarità di eventuali misure draconiane. Non a caso, nel Popolo delle libertà sono in molti a far circolare il nome di Gianni Letta. L'unico che il Cavaliere può considerare una garanzia in caso di un suo passo indietro. L'unico che può convincere Fini e Casini a rientrare nella maggioranza. "Tremonti - si è lamentato di recente il premier - si sta dando troppo da fare. Non mi fido".
Nella lista dei potenziali candidati, però, un posto è riservato al Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Nel taccuino dei finiani e dei centristi è il primo nome. Soprattutto se la crisi economica dovesse davvero assumere contorni tragici.
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