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10 nov 2010

«Harry Potter addio, finalmente liberi»

LA SAGA ESCE IL PRIMO DEGLI ULTIMI DUE CAPITOLI, FINISCE UN'ERA RIMPIANTI E PROGETTI

Emma: ora posso tagliarmi i capelli come voglio. Daniel: la mia normalità è lavorare, vado a Broadway

LONDRA - Emma Watson ha acquistato una Prius. Daniel Radcliffe una Golf. Rupert Grint un vecchio furgoncino che ha amorevolmente restaurato. E un camioncino di Mr Whippy per la vendita di gelati. In banca hanno complessivamente circa cento milioni di euro, ma le auto di lusso non fanno per loro. Sono star anomale i grandi protagonisti di Harry Potter, tre attori che insieme, tra una stregoneria e l'altra, hanno venduto a livello mondiale qualcosa come 4,4 miliardi di euro in biglietti.

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Sono diventati famosi prima ancora di compiere dieci anni, sono cresciuti sul set, sono ricchissimi: eppure, a differenza di tanti bambini prodigio del cinema, si sentono completamente «normali». Nessun eccesso, nessun comportamento da primadonna. Il trucco c'è, dicono: nel loro caso, la formula magica è stata la grande famiglia di Harry Potter, 500 addetti ai lavori tra attori, costumisti e cameraman che per una decade li hanno affiancati quasi ogni giorno. L'avventura ora si è conclusa. Gli ultimi due film della serie - otto pellicole in totale per i sette romanzi di J. K. Rowling - sono finiti. La prima parte di Harry Potter e i doni della morte esce il 19 nelle sale. La seconda sarà nei cinema a luglio. E per i tre protagonisti tramonta un'era. «È stato un addio molto doloroso», racconta Emma, in arte Hermione Granger: se Harry Potter è il prescelto, il ragazzo cui spetta sconfiggere il male di Voldemort e salvare il mondo dei Babbani (gli esseri umani) così come quello dei maghi buoni, lei è il cervello del gruppo. Senza, Harry e Ron non saprebbero come muoversi. «Abbiamo pianto tutti come fontane. Dan e Rupert sono più che amici. Siamo come fratelli, non credo che ci perderemo mai, abbiamo condiviso troppo».

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Voltare pagina vuol dire chiudere un capitolo e iniziarne un altro. E per quanto piacevole, è chiaro che il capitolo Harry Potter è stato lunghissimo - «18 mesi per gli ultimi due film, tutti di seguito, pazzesco», si lascia sfuggire Radcliffe - e che la fine significa anche libertà. Emma è corsa dal parrucchiere: «Per dieci anni non ho potuto tagliarmi i capelli, per contratto». Adesso li porta cortissimi: «Mi sento diversa. Con i capelli corti non puoi nasconderti. Mi sento più forte, più coraggiosa, anche nelle scelte che faccio». Per Daniel libertà vuol dire dedicarsi ad altri progetti professionali: «La mia normalità è lavorare, so che può sembrare strano, ma sono fatto così. Non sono bravo a prendermi pause, non so cosa fare se una vacanza è troppo lunga». Lo aspetta una sfida con il palcoscenico di Broadway: un musical, How to succeed in business without really trying. «Adoro cantare, ma ballare è tutt'altra cosa: avrò bisogno di molte lezioni». I soldi, racconta, gli hanno dato la possibilità di scegliere a cosa dedicarsi senza l'ansia di dover lavorare a tutti i costi. «Dato che finanziariamente potrei permettermi di non fare più nulla non mi vedrete in nessuna campagna pubblicitaria», sottolinea. E visto che qualcosa bisogna pur spendere, ha cominciato a collezionare arte moderna.

Rupert Grint, che prima di lanciarsi nell'avventura di Harry Potter sognava di fare il gelataio (ecco spiegata la strana scelta di quattroruote), con la bacchetta magica si regalerebbe «un ruolo difficile e impegnativo», qualcosa «di poco scontato in cui affondare i denti». Ha un rimpianto. Quello di non aver studiato. «Andare a scuola non mi piaceva granché, ma crescendo mi sono reso conto di aver perso molto, che avrei potuto imparare di più e anche farmi più amici». Non è il problema di Emma Watson, che come il suo personaggio ha sempre studiato tantissimo: «C'erano giorni in cui giravo, poi andavo a casa e studiavo fino all'una di notte, per poi tornare sul set alle sei e mezza». Nessun rimpianto accademico. Alla maturità ha preso il massimo dei voti, adesso studia letteratura inglese alla Brown's University, negli Usa. «Non credo che smetterò mai di studiare, ho una specie di assuefazione. E mi sembra il massimo della gioia spartire una pizza con i miei compagni di università la sera». Lusso che adesso può finalmente permettersi.

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