Il presidente evita l'umiliazione in Senato ma la catastrofe della Camera lo inchioda a pesanti responsabilità. Nell'analisi del voto giocano due forze contrastanti: giovani e donne hanno tradito il sogno obamiano, accusato di eccessiva cautela. Ma anche i repubblicani devono fare i conti con una radicalizzazione a destra
NEW YORK - Barack Obama incassa una dura sconfitta, evita una débacle irrimediabile. Il partito democratico perde nettamente la maggioranza alla Camera ma la conserva al Senato. Il presidente può tirare un sospiro di sollievo perché ha subìto un rovescio che rientra nel tradizionale ciclo politico americano. Andò peggio a Ronald Reagan, Bill Clinton, George W. Bush: tutti alle elezioni di mid-term persero la maggioranza in ambedue i rami del Congresso.
Ma i precedenti storici non bastano ad evitare lo choc. Perché alla Camera le dimensioni dell'avanzata repubblicana sono travolgenti: è il più grosso ribaltamento dei rapporti di forze dal 1948. In due anni Obama sembra avere dilapidato gran parte del patrimonio di consensi, l'aureola di carisma, l'alone di speranza che avevano circondato la sua vittoria nel 2008. Significativo è il fatto che gli abbiano voltato le spalle molte donne, che erano state una colonna portante nella sua elezione alla Casa Bianca. Da oggi comincia una fase che si può definire Obama 2. Parte di fatto un'altra campagna elettorale: a destra come a sinistra, si aprono le grandi manovre per la corsa alla Casa Bianca nel 2012. Per Obama, che darà una conferenza stampa a Washington alle ore 13 (le 18 in Italia), non è facile "interpretare" il risultato elettorale e la lezione da trarne. Nell'emorragìa di voti che ha penalizzato il partito democratico confluiscono infatti due spinte contraddittorie. Da una parte lo hanno disertato quelle fasce di "nuovo voto" - giovani, minoranze etniche, ambientalisti, pacifisti - che rimproverano a Obama di non essere stato abbastanza audace nelle riforme.
D'altra parte si sono spostati a destra molti elettori centristi, moderati e indipendenti, sensibili alla propaganda del Tea Party: convinti cioè che Obama abbia fatto fin troppo, con manovre di spesa pubblica anti-crisi che hanno scavato una voragine nel deficit pubblico. Nel rimpasto della sua squadra di governo Obama dovrà fare una scelta: andare verso un secondo biennio più moderato, alla ricerca di compromessi con la maggioranza repubblicana alla Camera; o al contrario impostare la seconda metà del suo mandato su un "muro contro muro", abbandonando l'illusione di un dialogo bipartisan.
Sul fronte opposto, i repubblicani devono evitare di essere inebriati da questa vittoria. Certo il Tea Party emerge come la grande novità del momento. Questo movimento ha studiato a perfezione proprio il "modello Obama", ha usato la mobilitazione della società civile per scardinare l'establishment di partito. E' una "insurgency", un'insurrezione della società civile che vuole riappropriarsi della propria sovranità. Ma queste mobilitazioni possono essere fiammate brevi, se vengono catturate e dirottate da un ceto politico tradizionale. Di qui al 2012 sarà l'economia a decidere tutto. Se Obama non trova la terapia giusta per accompagnare l'America verso una ripresa che crei posti di lavoro, la sua figura di leader resterà associata a una fase di declino e di impoverimento della nazione. In quanto alla destra populista, sogna lo Stato minimo e tagli alla spesa pubblica drastici almeno quanto quelli proposti da David Cameron in Inghilterra. Una visione dottrinaria che rischia di aggravare la crisi precipitando l'America in una nuova depressione.
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