Il primo accordo, quello più ricco, David Cameron e il primo ministro Wen Jabao, lo hanno firmato bevendo un bicchiere di champagne nel salone per le cerimonie della Great Hall of the People, sul lato occidentale di piazza Tienanmen. Alle loro spalle un dipinto della Grande Muraglia, sul tavolo una commessa da un miliardo e duecento milioni di dollari per la Rolls Royce, il cui titolo in Borsa ha recuperato di colpo quello che aveva perso pochi giorni fa, quando un aereo della Qantas era stato costretto a un atterraggio di emergenza.
Colpa di un guasto a un motore prodotto nelle fabbriche di Sua Maestà, che fino al 2015 faranno volare sedici Airbus-A330 cinesi. Steve Miller, rappresentante della Rolls Royce in Cina, commentava estasiato: «Siamo felici che si fidino di noi». In un curioso gioco di specchi, nello stesso istante, l’avvocato Mo Shaoping, difensore del neo premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo, condannato a undici anni di prigione per attività sovversive, veniva fermato all’aeroporto di Pechino e accompagnato in una saletta. Sarebbe dovuto partire per Londra assieme al collega He Weifang. Fermati. «Dobbiamo andare, ci aspettano per una conferenza». Niente da fare. «Perché?», hanno chiesto. «Ragioni di sicurezza nazionale». Li hanno rimandati a casa. He Weifang ha promesso che si rivolgerà al tribunale. «Faccia pure», gli hanno risposto.
Gli attivisti inglesi per i diritti umani hanno alzato la voce. «Perché Cameron non protesta?». Intercettato dalla Bbc, il capo del governo inglese ha elencato i successi del primo dei suoi due giorni nel cuore della più grande potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti. Decine di contratti. Quarantacinque milioni per esportare i maiali del Regno Unito, altri dieci per allargare il mercato alcolico consentendo ai cinesi di mettere l’etichetta Scotch solo al whisky prodotto in Scozia, senza contare le aperture di credito per le calzature Jimmy Choo o per le borse griffate di Tanya Hindimarch. «La nuova middle class cinese ha un appetito vorace per gli stilisti britannici», scriveva ieri l’Independent.
Le nuove intese prevedono anche la presenza di 1.500 insegnanti di mandarino nel Regno Unito. «Forse in futuro un primo ministro britannico in visita parlerà cinese». Era raggiante. Finché Nick Robinson non gli ha domandato: «Ma di diritti umani non ne parlate?». Cameron ha respirato a fondo. «Le nostre relazioni dovrebbero essere forti abbastanza per affrontare non solo ciò su cui andiamo d’accordo». Dovrebbero.
Alla Cina non piacciono le umiliazioni pubbliche, c’è disponibilità a fare discorsi privati. Magari già oggi, col presidente Hu Jintao. «Ma con rispetto e comprensione reciproca. Niente lezioni o toni dittatoriali». Poi ha sterzato di nuovo sul denaro. Sulla possibilità di un giro d’affari da cento miliardi l’anno per cinque anni. «Una visita di vitale importanza per il nostro Paese» Mentre la notte scendeva su Pechino, l’artista concettuale Ai Weiwei lo metteva con le spalle al muro. Appena uscito dagli arresti domiciliari per avere organizzato una festa d’addio al suo studio di Shanghai, demolito dalle autorità contrarie al suo lavoro, Ai Weiwei chiamava le agenzie per imbottigliare il seguente messaggio. «In privato sono capaci tutti di parlare.
Ci mancherebbe altro. E’ in pubblico che si deve esporre. Lo deve a un intero popolo che vede conculcati i propri diritti». In questi giorni la sua opera è esposta a Londra, dove le sue opinioni sono ascoltatissime. Cameron se n’è andato a letto inseguito dal dubbio: è stato un giorno perfetto o completamente sbagliato?
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