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18 ott 2010

La squadra vince se è mista

Si spengono le luci in sala e sul maxischermo compare un acquario di pesci rosa e azzurri. La voce narrante racconta che le laureate del 1975 in Francia erano il 41% ma che 35 anni dopo solo il 7% dei top manager era donna. Nel 2008 era il 55%, ma nel 2040 solo il 9% delle poltrone più ambite sarà occupato da donne. A meno che le aziende non applichino misure correttive, per migliorare i meccanismi della cooptazione tra simili ai vertici e aiutare le donne a bilanciare meglio i tempi dedicati alla famiglia e al lavoro.

Regole che possono far crescere di più il business. Invece, sul maxischermo e nelle aziende, il bi-cromatismo del primo acquario lascia il posto al prevalente monocolore azzurro di fine carriera. È partita così, accompagnata da una musica incalzante, la presentazione ieri a Deauville, in Francia, del quarto rapporto Women matter di McKinsey. La platea del decimo Women's Forum ha masticato amaro, ma ha anche applaudito le misure proposte.
Il dato di partenza è noto: pochissime le donne nei consigli d'amministrazione (cda), poche quelle nel top management. Peccato, perché lo studio McKinsey dimostra il collegamento fra composizione delle squadre di alta direzione miste uomini-donne e performance delle aziende. Arrivando alla conclusione che il doppio misto di genere funziona meglio. Altro che logica «pesce azzurro mangia pesce rosa»: bisogna uscire dalla parabola dell'acquario ed entrare in quella del tennis, dove la gara di doppio misto farà il suo debutto all'Olimpiade di Londra del 2012 perché funziona.

McKinsey ha esaminato un campione di imprese in sei paesi europei e nei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), suddividendole in due gruppi: quelle con nessuna donna e quelle con il più alto numero di donne nel comitato esecutivo. Risultato? Nel periodo 2007-2009, le aziende con migliore presenza femminile al top hanno avuto risultati (Ebit) superiori del 56% a quelle maschili e redditività del capitale proprio più alto del 41 per cento. Ecco la "pistola fumante", la prova delle prove che dà elementi certi al dibattito. E a dimostrarlo non sono più solo i centri studi di Catalyst, 20-First e Cerved: ora prendono posizione i consulenti di McKinsey.

La domanda classica: «State dicendo che le donne sono più brave solo perché donne?» è mal posta. «Sono le squadre di alta direzione con stili di leadership disomogenei, approcci strategici di business differenti tra loro e in ultima analisi diversity tutelata a fare la differenza nelle aziende - spiega Sandrine Devillard, direttore francese di McKinsey e co-autrice della ricerca molto lodata anche da Christine Lagarde, ministro francese dell'Economia, presente a Deauville -. Poi le manager donne non sono uguali agli uomini nello stile di leadership. Nella ricerca precedente abbiamo dimostrato che sono eccellenti in quattro su sette comportamenti di leadership con impatto positivo sulle organizzazioni, grazie alla naturale capacità relazionale e alla maggiore equità nella gestione dei team».

Ma come migliorare la situazione? McKinsey ha preparato un piano in 13 punti. «È fondamentale l'impegno dell'amministratore delegato nello scegliere e monitorare programmi che valorizzino la diversity, con iniziative che mettano le donne nella posizione di fare rete, avere servizi di mentoring e sviluppare role model, modelli cui guardare - spiega Devillard -. L'impegno del management in questo ambito deve diventare uno degli elementi di valutazione delle performance e va verificato periodicamente. Fondamentale, poi, che siano studiati piani di bilanciamento fra tempi di vita privata e di lavoro, attraverso condizioni di lavoro flessibile nei tempi e nei luoghi. Non solo: che venga neutralizzato l'effetto dei congedi parentali nelle valutazioni ai fini della carriera e che vengano messi a punto programmi per limitare l'impatto delle maternità per la dipendente e il suo ufficio. Inoltre, aiuterebbe fissare quote di genere nelle assunzioni e obiettivi di ribilanciamento sul fronte promozioni, con richieste sistematiche che ci sia almeno una candidata per ogni rosa di persone ad alto potenziale da promuovere. Motivando la scelta in caso di terna tutta maschile».

Non quote rosa nel management, dunque, ma poco ci manca. E di quote si è parlato al Women's Forum di Deauville, per commentare le proposte di legge in Francia, Norvegia, Spagna e Italia. Il ministro francese dell'Economia Christine Lagarde si è detta favorevole alle quote rosa nei cda, purché siano temporanee, per bilanciare gli attuali squilibri. E in Italia? In contemporanea con Deauville, la ricerca McKinsey veniva discussa in una tavola rotonda al master Human resources del Gruppo 24 Ore. Francesca Contardi, neo-amministratore delegato di Page Personnel promossa al rientro dalla maternità, Francesca Manili Pessina, responsabile delle risorse umane di Alcatel Lucent e Giovanna Bottani, responsabile delle relazioni esterne della Fondazione I-Csr hanno confermato che gli scenari tracciati e le ricette proposte sono applicabili anche alla realtà italiana. I ragazzi in aula hanno giudicato lunare i gap delle carriere tra uomini e donne, «perché noi lavoriamo e studiamo tutti insieme senza differenze di genere», hanno rilevato stupiti. Altro che «pesce azzurro mangia pesce rosa». Qui bisogna uscire dall'acquario tutti insieme. E i giovani lo sanno, per fortuna.

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