Dai cinquantenni cresciuti a pane e Mac ai ragazzini "bene" con l'iPhone in tasca
Steve Jobs (Afp) |
E Alfonso Fuggetta, docente di Informatica al Politecnico di Milano e «macchista»dal 1990, aggiunge: «Ogni qual volta non sono in movimento, ma non sono in ufficio o non sto facendo cose complesse, uso l'iPad. È un oggetto che va a coprire un bisogno e una modalità di interazione nuova, che riempie spazi diversi di utilizzo». Per Apple, iPad è solo l'ultimo tassello di un'escalation di successi, (ri)cominciati nel 1997 con il ritorno di Jobs all'azienda da lui fondata. Dopo l'iMac (1999), ha cambiato il modo con cui ascoltiamo le canzoni con l'iPod (2001), ha fatto decollare la musica digitale con iTunes (2001), ha rivoltato il mercato della telefonia con iPhone (2007). E con l'iPad ha messo in piedi il lancio commerciale di uno dei prodotti più eclatanti di tutti i tempi senza spendere un solo centesimo di pubblicità diretta. La cura Jobs ha trasformato un'azienda sull'orlo della bancarotta in un colosso capace di capitalizzare a Wall Street più di Microsoft e di fidelizzare decine di milioni di utenti. Una vera iGeneration, che va dai cinquantenni cresciuti a pane e Mac ai ragazzini "bene" con l'iPhone in tasca. «Preferisco Apple perché ti permette di fare una vita più essenziale di quella in cui ti trascina un pc. Ci mette meno tempo ad accendersi, ci mette meno tempo a scaricare la roba, quello che ti serve ce l'hai a portata di mano nel giro di due clic mentre sul pc bisogna fare le cacce al tesoro, quando c'è un problema appare scritto chiaramente qual è il problema e come risolverlo mentre con Microsoft sembra sempre di dover decifrare i messaggi dell'oracolo, e insomma, tutta una serie di cose che vanno nella direzione di: "Con Apple mi semplifico la vita"», racconta Valeria Di Napoli, alias Pulsatilla, scrittrice, blogger e sostenitrice critica della Mela («Ho un MacBook Air leggerissimo e molto fico che però mi dà non pochi problemi; una Mela marcia bella e buona»).
La filosofia Apple che sfonda è chiara: prodotti costosi ma eleganti, facili da usare, affidabili e creati nel segno di quello che gli americani chiamano "wow effect". Prendere in mano un freddo oggetto tecnologico, accenderlo e restare sbalorditi per quello che fa e per come lo fa. Un approccio emozionale all'informatica che paga, come insegna la storia dell'iPhone. Quando uscì nel 2007 fu criticato per le specifiche tecniche. Gli mancavano parecchie cose che altri telefoni dell'epoca avevano già (per dirne una: il primo modello non si collegava alle reti Umts). Ma chi ne provava uno capiva subito che i concorrenti, a partire da Nokia (leader mondiale per telefonini e smartphone), avrebbero dovuto inseguire Apple sulla strada del touchscreen. Questione di priorità. Con iPhone prima e iPad ora la scelta è stata vincente: proporre al pubblico un gadget più stabile e veloce della concorrenza, gestibile con un'interfaccia (il tocco dello schermo) più intuitiva delle tastiere fisiche ma altrettanto efficace. L'uovo di Colombo poi è stato mettere a disposizione degli sviluppatori un negozio online dove pubblicare i loro software, offrendo loro il 70% degli incassi. Sono arrivate così oltre 200 mila "Apps". Migliaia anche dall'Italia. «Per chi ha conoscenze di base dei linguaggi di programmazione non è difficile creare semplici applicazioni per iPhone», racconta Andrea Lufino, milanese, appena 19 anni ma già 7 programmi sull'App Store. «Per ora ho fatto appena 35 euro, ma poco importa. Lo faccio per curriculum, ma soprattutto per passione». L'iPad non ha cd-rom, porte Usb o altri ingressi per schede di memoria. Vive unicamente connesso alla Rete. I supporti materiali fanno spazio alla cosiddetta cloud, la "nuvola" immateriale del web in cui tutti i nostri file sono disponibili sempre e ovunque, a patto di avere una connessione. Una filosofia che è il cavallo di battaglia di Google, guarda caso sempre più in conflitto con Apple in molti e strategici settori. «La progressiva adozione delle logiche connesse alla "nuvola" è un dato di fatto», spiega Stefano Maruzzi, country manager per l'Italia di Google. «I vantaggi sono numerosi ed evidenti ma questo modello non è alternativo alla presenza di dispositivi fisici e nemmeno alla disponibilità di memoria di massa. Non è un caso che dispositivi come l'iPad vengano venduti con spazi di archiviazione sempre maggiori, per ospitare contenuti anche in alta definizione».
Dati questi presupposti è possibile che quella di Apple sia davvero una "corsa inarrestabile", come l'ha definita pochi mesi fa Tim Bajarin, uno dei più reputati analisti di tecnologia al mondo? I concorrenti di certo non stanno a guardare. L'iPad sarà affiancato presto da una pletora di tablet concorrenti, molti a prezzo assai più conveniente, alcuni con Windows, altri con Android di Google. Proprio il sistema dell'azienda di Mountain View è un'alternativa sempre più valida ad iPhone e guadagna consensi. Colossi come Nokia, Samsung, Rim- Blackberry e Microsoft lanciano nuovi cellulari, più veloci e potenti. Ma il peggior nemico di Apple forse può essere Apple stessa. Non solo per dettagli come il difetto del nuovissimo iPhone 4 che – se impugnato da un mancino – rischia di perdere il segnale. Man mano che il modello di iPhone/iPad/iTunes si afferma, con il consenso di mercato crescono le perplessità per un sistema assolutamente chiuso e sotto il controllo più totale del "Politburo" di Cupertino, che ha il potere di escludere dal suo "store" online le applicazioni sgradite. Diversi casi di presunta "censura" – poi di fatto sempre rientrati – hanno agitato le cronache. A molti pensatori libertari fa paura il concetto di un monopolista che controlla a sua discrezione il "tubo", chiudendo il flusso dei contenuti a piacimento. E il "Think Different", pensa in modo diverso, un tempo slogan dei Mac, a quel punto sembrerebbe assai meno "different"
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