Ora tornerà in scena il presidente Barack Obama: cercherà di facilitare il processo di riconciliazione con il progetto approvato dalla Camera. Un compito non necessariamente facile visto che vi sono alcune differenze di fondo. Ma l'esito finale a questo punto è scontato: il compromesso è inevitabile, il passaggio parlamentare certo, anche se alcune misure più dure del Senato, come quella sui derivati, potrebbero essere ammorbidite.
Comunque sia il presidente, dopo la riforma sanitaria, potrà firmare un'altra legge storica, che servirà in questo caso da punto di riferimento per il resto del mondo. Certamente per il gruppo dei Venti, che alla fine di giugno si riunirà ai margini del G8 canadese e discuterà un approccio comune per rendere più trasparente – e sicuro – il modus operandi delle grandi istituzioni finanziarie mondiali.
C'e' da chiedersi se il progetto, ammorbidito al Senato in alcune delle parti più dure e probabilmente corretto ancora, sarà poi sufficiente per contenere il rischio di nuove crisi sistemiche. Di certo la legge ridisegnerà per i prossimi decenni il modello competitivo di un settore che ormai include non solo le banche commerciali, ma quelle d'affari, gli hedge funds e i fondi comuni. Fondi hedge e private equity in particolare dovranno sopporsi a controlli che finora non avevamo, si cercherà di chiudere i gap di regole alla radice degli scandali finanziari; si daranno maggiori poteri di intervento e di controllo alla Federal Reserve, si creerà una nuova agenzia per la protezione dei consumatori, si cercherà di rendere quanto meno più trasparenti le operazioni sui derivati e di limitare l'esposizione al rischio speculativo delle grandi banche, attraverso una combinazione di tasse e di regole. Al di là della formula finale, questi parametri di fondo sono comuni ai due progetti di legge. Una delle battaglie più dure sarà portata avanti dalle banche per evitare che la posizione del Senato, che impedisce alle banche di operare sul mercato per conto del proprio portafoglio, sia abolita.
Si tratta comunque di una legge che ha già lasciato il segno sul mercato: la caduta di ieri del 3,6% in borsa a New York, riflette certamente le preoccupazioni per la crisi europea, ma sconta in parte una riforma temuta, che potrebbe nella sua forma finale limitare di molto le attività finanziarie e di conseguenza – dicono i pessimisti e i banchieri - quelle produttive. Di certo i guadagni da favola, le speculazioni selvagge, le incertezze e i rischi che hanno caratterizzato un modello di vita e di lavoro per i primi anni del nuovo secolo, verranno rimessi in discussione.
La svolta è giunta ieri sera, con un voto chiave, 60 a 40: il Senato americano, dopo negoziati drammatici e momenti di alta tensione, chiudeva il dibattito sugli emendamenti. Si apriva così la porta al voto per l'intero progetto di legge, 1400 pagine appunto già nella notte di ieri.
Il protagonista delle battute finali che hanno consentito di sbloccare l'impasse che si era creato mercoledì, è stato il Senatore repubblicano Scott Brown, colui che soffiò ai democratici il seggio di Ted Kennedy in Massachusetts e che sta emergendo oggi come uno dei più promettenti politici dal volto nuovo in campo repubblicano, aperto al compromesso e al dialogo con gli avversari. Brown era pronto a votare a favore dell'interruzione del dibattito già mercoledì, ma voleva che due importanti istituti di Boston, Fidelity e State Street, la banca che è sbarcata in Italia nei giorni scorsi, fossero escluse da certe limitazioni per operazioni sul mercato per conto del loro portafoglio invece che solo per conto terzi. Harry Reid, il capo della maggioranza al Senato aveva capito che non avrebbe mai ottenuto l'adesione dei due democratici contrari al progetto. Maria Cantwell, di Washington State, è infatti convinta che le misure contro i derivati siano troppo leggere, e Russ Feingold Senatore del Wisconsin ritiene il progetto poco severo e dunque non in grado di impedire una nuova crisi sistemica nei prossimi anni. E hanno votato contro. Ma la partita, anche per i repubblicani, che pure hanno votato in 38 contro l'interruzione del dibattito, era troppa importante per essere abbandonata a se stessa. E altri due senatori dell'opposizione, Susan Collins e Olympia Snow, entrambe repubblicane del Maine, si sono unite alla maggioranza democratica, consentendo così di chiudere un altro capitolo centrale della grande crisi finanziaria del 2007/2009.
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