Dubai ristruttura il debito, ma le Borse degli Emirati chiudono in profondo rosso
Abu Dhabi, dalla banca centrale liquidità agli istituti di credito
Dubai World: da Abu Dhabi ok agli aiuti, ma solo caso per caso
DUBAI - Seduto al tavolino di un bar del Financial Centre, il giovane broker inglese si sporge sulla sedia e sorseggia il suo bicchiere di acqua minerale con una fettina di limone. «La sa quella di Abdubai?», domanda. Prego? «Sì, c'è uno straniero che arriva a Dubai in macchina e scorge un cartello in arabo e in inglese. Sopra c'è scritto "Benvenuti ad Abdubai". L'uomo dice allora al suo autista: "Abbiamo sbagliato strada...". E lo chaffeur risponde: "Ma certo che no, signore. Questa è la nuova Dubai. La vecchia ha smesso di esistere il 25 novembre 2009».
Tra i palazzi di granito grigio del centro finanziario di Dubai, negli uffici delle banche d'investimento, nei bar, nei ristoranti e nei negozi alla moda di questo grande supermercato della finanza, la storiella viaggia veloce di bocca in bocca da quando Dubai World, la più grande holding degli Emirati, ha rotto l'incanto della Disneyland del Golfo Persico annunciando di non essere in grado di ripagare 26 miliardi di dollari di debito. Una innocua e divertente storiella, per ora. Ma con un fondo di verità sul probabile futuro prossimo di Dubai.
L'onda d'urto del terremoto innescato da Dubai World si è ormai spenta sui mercati internazionali e le borse sono tornate a salire. Ma per Dubai, questa è una settimana cruciale. Un panel di creditori si siederà per la prima volta davanti ai vertici di Dubai World e solo al termine dell'incontro si conoscerà su quali binari la controversia proseguirà: sul piano del negoziato o su quello ben più problematico dello scontro giudiziario. Samer Sakran, manager della branch di Dubai della Al Brooge Securities, non nasconde le incognite: «Le banche locali sembrano più accondiscendenti – racconta –. Il problema sono gli istituti stranieri, in particolare quelli britannici, esposti per cinque miliardi di dollari, che non sono per nulla contenti di questa richiesta di moratoria».
Comunque andrà a finire, il bubbone di Dubai World è destinato a cambiare più di un equilibrio nel piccolo emirato guidato dal sessantenne Mohammed bin Rashid al Maktoum. Saranno ridimensionati i progetti faraonici partoriti dalla sua fantasia, come le isole a forma di palma e gli arcipelaghi a forma di mondo, ma ciò che la crisi non riuscirà a cambiare sarà il ruolo di Dubai nell'area mediorientale. Basta andare a Sharjah, ad Ajman o a Umm al-Quwain, gli altri tre emirati a un tiro di schioppo da qui, per rendersi conto di cosa sarebbe oggi Dubai senza Al Maktoum: un emirato alla mercè della ricca Abu Dhabi, che da sola controlla più del 90% del petrolio della federazione araba. Senza la potenza dell'oro nero, Al Maktoum non aveva alternative che fare ciò che ha fatto e l'unico modo per trasformare Dubai in un hub finanziario, industriale e turistico era di agire sulla leva del debito. Cento miliardi di dollari su un Pil di 82 miliardi, secondo le ultime valutazione della società di rating Moody's. La cifra raggruppa l'indebitamento delle decine e decine di società controllate dal governo: la Dubai Inc. siede su una montagna di soldi prestati.
Il meccanismo ideato da Al Maktoum, "Big Mo" come lo chiamano qui, si è parzialmente inceppato ma la sensazione è che tornerà a girare, anche se a velocità ridotta. Come sarebbe possibile cancellare, del resto, ciò che è stato costruito? Sulla strada verso Abu Dhabi, per chilometri e chilometri migliaia di capannoni industriali si dispiegano sui due lati della carreggiata. Nella zona franca di Jebel Ali ci sono più di seimila aziende di tutto il mondo, tantissime italiane, arrivate qui per la posizione strategica dell'emirato, per gli incentivi fiscali e per la presenza di infrastrutture che nei paesi vicini semplicemente non esistono. Gli affari hanno portato imprese come Impregilo, con i dissalatori della Fisia Italimpianti, e come la Salini, sui cui tralicci di cemento poggia la nuova supertecnologica metropolitana di Dubai. «Possono fermarsi anche per venti anni e non costruire più nulla. Perché ormai sono talmente avanti che possono permettersi anche questo», sostiene Corrado Chiarentin, Ceo della società di consulenza Rois di Dubai.
Ma Dubai in crisi di liquidità, la Dubai alle prese con i debiti delle sue migliori società, non sarà quella di un anno fa. Dubai World venderà alcuni dei suoi asset per ripagare i debiti e alcune delle sue attività migliori potrebbero finire nelle mani dei vicini di Abu Dhabi. Sono in molti a scommettere che ormai il futuro sia nell'emirato più grande, dove lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan sta portando avanti un progetto da 200 miliardi di dollari in infrastrutture per fare di Abu Dhabi la nuova stella del ventunesimo secolo. Dubai rallenta, Abu Dhabi cresce. Benvenuti ad Abdubai.
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