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7 ott 2009
Alt alla pubblicità occulta su blog e social network
Era una bella storia. America vecchio stile. Quasi troppo vecchio: una coppia, Jim e Laura, un camper gigantesco, l'autostrada infinita, il sottofondo musicale. Niente segni particolari? Andavano in giro di città in città, on the road, ma si fermavano sempre a dormire in un parcheggio di Wal-Mart. Già. E non lo nascondevano: pubblicavano le loro foto e scrivevano le loro esperienze su un blog, dicendo apertamente quanto apprezzassero la politica dei prezzi bassissimi di quella gigantesca catena di supermercati. Si fecero notare. Anche troppo. Perché venne fuori che il loro viaggio era organizzato dalla Edelman, una società di pubbliche relazioni, e che i conti li pagava proprio Wal-Mart. Risultato: uno scandalo che percorse tutta la blogofera mondiale. Una figuraccia. Richard Edelman ammise subito tutto e promise di attenersi alle cosidette "regole Womma", dettate dall'iniziativa Word of Mouth Marketing (cioè il marketing del passaparola) che si riassumono appunto in un concetto: trasparenza. Era il 2006: ma è ancora il caso più citato per dimostrare quanto sia pericoloso fare pubblicità online nel mondo dei blog senza dirlo.
Quella volta la blogosfera se l'è cavata da sola. E ha dato un esempio a molti falsi blogger. Ma quanti ne sono rimasti che fingono di essere fanatici di un prodotto e invece sono pagati per sostenerlo? Molti o pochi, secondo la Federal Trade Commission, devono sapere che non la passeranno liscia. L'agenzia che si occupa di salvaguardare le regole del commercio negli Stati Uniti ha pubblicato un documento di 81 pagine nel quale mette in ordine le sue idee sulla trasparenza nell'uso promozionale dei testimonial e dei sostenitori, anche via blog o social network. Non è una nuova legge: è una raccolta di chiarimenti delle leggi che ci sono. Vuole far paura, parlando di multe fino a 11mila dollari. Ma esplicitamente esclude che si tratti dell'inizio di una campagna contro i blogger: l'Ftc pensa soprattutto a chi si occupa in modo sistematico di marketing online e non segue la regola della trasparenza: si può fare pubblicità ma lo si deve dire. E anche se non si ricevono pagamenti ma semplici regali o favori dall'azienda che si sostiene sul blog, su Twitter o su Facebook.
Ovviamente, come ogni volta che si tenta di regolare la blogosfera, il dibattito si surriscalda. La Womma apprezza l'equilibrio delle indicazioni della Ftc. La Federazione dei Consumatori americani dice invece che si tratta di una misura troppo debole. E molti, moltissimi blogger, al contrario, criticano la decisione come inapplicabile e ingiusta. Oltre che concettualmente sbagliata.
Jeff Jarvis, un megablogger e professore alla New York University, che tra l'altro dichiara sempre qualunque possibile conflitto di interessi, ritiene che le intenzioni della Ftc siano buone, ma non apprezza la decisione: «Internet non è un medium. È una conversazione. Quello che la gente si racconta conversando non è affare dello stato». E Dan Gillmor, altro pioniere della blogosfera, aggiunge: «Questa decisione della Ftc è un incitamento per gli avvocati a mettersi a lavorare a tempo pieno sul Primo emendamento» (il passaggio della Costituzione americana che riguarda la libertà di espressione).
Il problema è che nella blogosfera tutto diventa difficile da definire. Un'indicazione chiara e ufficiale sulla trasparenza non può certo far male. Pensando alle persone truffate da un tizio che dice di essere dimagrito con una certa pillola e che in realtà era stato pagato per dirlo, questa indicazione ha un suo perché. Ma resta il fatto che la rete delle persone non apprezza l'entrata in gioco dello stato. E tende a ribadire che in fondo le leggi sulla truffa esistono già.
Il problema non è soltanto americano. In Italia non sono mancati i casi in cui è mancata la trasparenza nelle attività promozionali. Lo ha dimostrato anche un'inchiesta del Sole 24 Ore del 2 giugno scorso riguardante l'uso non ufficiale di blogger e partecipanti ai social network nella campagna elettorale per le europee. Invece, i problemi cui sono dedicate le leggi in discussione in Italia e che riguardano i blog si concentrano su altro: opinioni anonime, obblighi di rettifica, copyright.
Le norme in materia di social network e blogosfera si infrangono spesso sulla difficoltà di farle valere. Sicché di solito hanno un intento più educativo che pratico. E questo è forse il dato interessante della vicenda: negli Stati Uniti le norme tendono a educare alla trasparenza, un valore che la blogosfera già tende a sostenere anche quando si regola da sola, come nel caso Edelman; mentre in Italia molte delle leggi in discussione sembrano più pensate per indurre a limitare l'espressione di opinioni critiche.
Via il sole24ore
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