Dal Corriere
da quel Rizzo che ha scritto la casta, ecco un'altra puntata dell'Italia dei precari:
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l giudice: quei precari hanno diritto tutti al posto fisso
Poste, contratti sbagliati: 18mila riassuntiMa l'azienda potrebbe essere obbligata a reintegrare nel loro posto di lavoro tutti i precari assunti negli ultimi anni
ROMA - Bei tempi, quelli di Remo Gaspari e Antonio Gava: quando la macchina delle assunzioni alle Poste, allora sì, andava a pieno ritmo. E capitava che perfino a Partinico, paese originario di un sottosegretario (il Dc Giuseppe Avellone), i portalettere fossero un decimo della popolazione attiva.
Ma chi oggi rimpiange quella epoca d'oro dovrà ricredersi, guardando i numeri che sono contenuti in una relazione di qualche giorno fa della Corte dei conti. Negli ultimi tre anni il magistrato del lavoro ha fatto assumere a tempo indeterminato 17.454 persone. Come se le Poste avessero dovuto ingoiare d'un colpo il Club Mediterranee, intero. O tutta la Banca nazionale del Lavoro. Ma questo, a sentire la Corte dei conti, è niente, perché ci sarebbero ancora aperti, «nei vari gradi di giudizio», 27.070 procedimenti. Un fatto che viene considerato dai magistrati contabili, non a torto, preoccupante. Com'è stato possibile arrivare a questo punto? Tutto è cominciato a metà degli anni Novanta, quando le Poste si stavano trasformando prima in ente pubblico e poi in società per azioni.
Essendo una impresa in fase di ristrutturazione, secondo i giudici non avrebbe potuto assumere personale a tempo mentre si liberava dei dipendenti stabili. E siccome di lavoratori a tempo, anche per periodi brevissimi di 20 giorni, ne venivano assunti a migliaia per far fronte alle esigenze di un'azienda con numeri enormi e funzioni molto particolari, sono arrivate valanghe di ricorsi. Dal 1998 a oggi, secondo le Poste, esattamente 42.297. Una offensiva legale che ha determinato situazioni incredibili, come quella di Grosseto, dove il giudice ha imposto in una mattinata la riammissione in servizio di 87 (ottantasette) portalettere. C'è da dire che quest'anno i nuovi ricorsi sono stati «soltanto » 2.306, contro i 6.282 del 2006. E i reintegri «soltanto» 4 mila, rispetto ai 5.124 del 2006 e agli oltre 6 mila del 2005, con una percentuale di «soccombenza » davanti al magistrato passata dal 90% al «appena» il 70%. Un andamento che viene interpretato alle Poste come il segnale che la situazione è ormai «sotto controllo». Affermazione che potrebbe apparire un po' forzata vista la mole delle cause ancora pendenti.
L'ottimismo deriva dal fatto che all'inizio del 2006 gli stessi sindacati i quali si erano incaricati di appiccare il fuoco al pagliaio hanno accettato di sottoscrivere un'intesa per attenuare l'impatto economico e organizzativo delle sentenze. Accordo, considerato storico, che non è stato certamente accolto con esplosioni di giubilo dagli avvocati di chi aveva fatto ricorso, alcuni dei quali erano arrivati a collezionare 3 o 4 mila clienti. Dal loro punto di vista, comprensibilmente: sono state evitate altre 14.985 cause di altrettanti ex postini a tempo che hanno rinunciato ad andare dal magistrato a patto però di essere inseriti in una precisa graduatoria dalla quale l'azienda si impegna ad attingere per le assunzioni. Considerando anche questi, il numero degli ex precari teoricamente reintegrabili, se le Poste perdessero tutti i procedimenti ancora aperti, salirebbe a 57.282 persone. Ma il problema sarebbe stato ancora più grosso. Se tutti i postini a tempo passati per l'azienda dal luglio 1997 al 2005 avessero fatto ricorso, nel palazzone davanti al laghetto dell'Eur, a Roma, sarebbero stati sommersi da 130 mila cause: come quasi tutti i dipendenti a tempo indeterminato, attualmente 154 mila. Roba da portare i libri in tribunale. Ed è anche per questo che alle Poste considerano già un clamoroso successo questo esito della vicenda. Non che non ne escano un po' ammaccate. Basti dire che lo scorso anno il fondo vertenze, pur in diminuzione rispetto a un drammatico 2005, ha assorbito 353 milioni, oltre metà dell'utile netto. E siccome, sottolinea la Corte dei conti, «la struttura aziendale affida a professionisti esterni la quasi totalità delle cause» di questo tipo, negli ultimi cinque anni ha sborsato per spese di giudizio e onorari 101,6 milioni di euro: 33 e mezzo nel solo 2006.
Sergio Rizzo
23 novembre 2007
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