Comunicato USB – La scuola pubblica statale negli ultimi anni è stata oggetto di una serie di riforme che ne hanno modificato profondamente il volto, trasformandola da istituzione finalizzata alla costruzione di coscienze critiche e libere a strumento di diffusione di un sapere mercificato e sottomesso agli interessi del mercato del lavoro.
Oggi dobbiamo contrastare l’ennesimo progetto di destrutturazione in chiave privatistica della scuola pubblica statale: l’autonomia differenziata. L’espressione, come accade sempre in questi casi, tenta di velare in modo rassicurante un progetto devastante: costruire un sistema scolastico regionale, favorendo un’inaccettabile differenziazione all’interno del sistema nazionale, con il consenso comune di centro destra, centro sinistra e M5S. Si tratta di un passaggio dal federalismo a una vera e propria secessione silenziosa. Tale passaggio è reso possibile dalla riforma del titolo V della Costituzione, approvata dal centrosinistra nel 2001, che ha sottratto allo Stato l’esclusività in materia di istruzione, lasciando nelle sue competenze esclusivamente le norme generali, i livelli essenziali delle prestazioni e i principi fondamentali. Questa modifica ha così di molto ampliato le competenze delle regioni su materie essenziali, come appunto scuola e formazione.
USB Scuola ha da subito denunciato il progetto di regionalizzazione che ha come chiaro obiettivo quello di mantenere il gettito fiscale all’interno delle regioni del Nord in assoluta violazione del principio solidaristico di redistribuzione della ricchezza su base nazionale. Siamo di fronte alla trasgressione di uno dei pilastri della Costituzione italiana, di uno dei principi che sta a fondamento dell’unità stessa del nostro paese.
È bene ribadire come la ricchezza del Nord si sia costruita anche e soprattutto in virtù della migrazione e dello sfruttamento della forza lavoro del Sud. Questo vale ancor di più per la scuola, dove ormai da anni il problema della carenza di insegnanti genera difficoltà sempre maggiori per l’avvio dell’anno scolastico. La soluzione di tali difficoltà è spesso resa possibile grazie alla disponibilità dei docenti del Sud a trasferirsi al Nord per poter lavorare, visto che la mancata stabilizzazione degli organici nelle regioni del meridione non consente trasferimenti ed assunzioni.
La nostra opposizione al progetto di regionalizzazione si fonda su motivi ben precisi. In primo luogo, il passaggio del personale neoassunto in capo alla Regione creerà un sistema perverso per cui, da un lato, i trasferimenti dei docenti diventeranno ancora più difficili, pressoché impossibili, determinando per i lavoratori ulteriori sofferenze, dopo quelle provocate dal famigerato algoritmo della L.107; dall’altro lato, però, l’assenza di investimenti e i continui tagli, che paiono essere confermati da ogni governo, faranno crescere l’esigenza di spostarsi per cercare lavoro.
In secondo luogo, ci sembra una promessa priva di fondamento lo sbandierato aumento stipendiale che si verrebbe a determinare. Da sempre i lavoratori della formazione regionale hanno salari inferiori di quelli statali. Inoltre, i vincoli di bilancio imposti allo Stato italiano dalle politiche di austerità europea sono tali anche per le amministrazioni locali. Perché dunque dovrebbero esserci a disposizione più soldi per i docenti regionali? A maggior ragione, queste promesse ci sembrano mera propaganda dopo l’incontro di ieri al Ministero degli Affari Regionali che ha confermato come, eventualmente, le risorse verranno trasferite dallo Stato alle Regioni in pari quantità rispetto alla spesa sostenuta dallo Stato stesso: in breve, se lo Stato per la scuola della Lombardia o del Veneto spende 100, 100 sarà quanto la regione riceverà per la spesa per la scuola.
Il settore del welfare che più di altri ha già subito un progetto di regionalizzazione, la sanità, è di fatto peggiorato. Questo anche perché regionalizzazione ha significato privatizzazione, ovvero messa a profitto della salute. Siamo sicuri di volere che anche l’istruzione sia messa a profitto?
Ma c’è un quarto motivo che rende il progetto pericolosissimo: la regionalizzazione creerebbe tanti sistemi di istruzione quante sono le regioni italiane, producendo evidenti sperequazioni e differenze di opportunità tra i bambini e i giovani del paese. L’autonomia in fatto di programmi ci fa pensare a programmi piegati alle esigenze del sistema produttivo dei diversi territori. Non è un caso che le proposte partano da quelle regioni dove il sistema produttivo ancora tiene e che evidentemente ritengono di potersi liberare della “zavorra” delle regioni del Sud o, in generale, più impoverite, restando agganciate alle nazioni centro e nord europee e al loro sistema economico. Peccato che le regioni del nord Italia diventerebbero immediatamente una sorta di sud sottomesso al sistema produttivo centro e nord europeo.
Il 10 maggio la scuola sciopera insieme a tutto il Pubblico Impiego per opporsi al progetto di regionalizzazione, per ottenere la stabilizzazione di tutti precari che hanno maturato con il loro servizio il diritto al ruolo, per richiedere organici ATA adeguati alle reali esigenze delle scuole, per ottenere una mobilità giusta che permetta il rientro dei cosiddetti esiliati.
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