Una fredda notte di ottobre. Un'auto in panne su una strada sterrata. Un uomo, una ragazza, pazzia, dolore. E le ombre. Mio Dio, le ombre.
Imprevisto, morte, dolore: una ragazza viene investita per caso alla fine degli anni Settanta. Imprevisto, morte, dolore: un attore viene ammazzato per sbaglio sul set agli inizi degli anni Novanta. Tutto inizia con la morte. Tutto finisce con la morte. Come dentro un infame destino ciclico da cui non c'è via di scampo. Il corvo è sempre stata una storia di ali spezzate. Una maledizione che parte da una sofferenza sublimata dentro un fumetto, poi confluita dentro il cinema e, infine, tornata a colpire ancora una volta. Però, se è vero che "le case bruciano, le persone muoiono, ma il vero amore è per sempre", c'è un motivo se Il corvo è un film di cui siamo ancora tutti innamorati. Venticinque anni dopo il suo arrivo sugli schermi americani (l'11 maggio 1994), il film di Alex Proyas continua ad avere quel retrogusto unico di tragedia e romanticismo, amaro e dolcezza che si abbracciano dentro un cinecomic diventato un cult immortale.
Tratto dal fumetto di James O'Barr, che iniziò a lavorarci per provare a superare la morte della sua fidanzata morta travolta da un ubriaco, Il corvo è legato a doppio filo con il lutto. Difficile scindere il valore puramente cinematografico dell'opera dalla tragedia che ne ha segnato il mito, perché la morte di Brandon Lee resta un'ombra impossibile da scacciare. Ucciso durante le riprese da un proiettile inesploso rimasto incastrato dentro una pistola caricata a salve, il figlio di Bruce Lee se ne andava all'età di 28 anni per colpa di un film dedicato all'immortalità. Un paradosso beffardo che ha reso Il corvo uno dei film più maledetti della storia del cinema, oltre che un lungo canto funebre attraversato da una spinta vitale malinconica e romantica. La storia di Eric Draven, tornato dal regno dei morti per vendicare se stesso e la sua amata, continua a specchiarsi nelle note opposte della sua meravigliosa colonna sonora: rock, violenta, viscerale, ma allo stesso tempo delicata, toccante e orchestrale. Così, il tenebroso rocker di Brandon Lee, armato di chitarra e sete di castigo, è diventato un'icona assoluta degli anni Novanta.
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