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9 feb 2017

Dallo Spazio all’Ironman: nuoto, bici e corsa. Così vado oltre i miei limiti»

Luca Parmitano: «Mia moglie mi ha spinto a riprovare». Le corse da bambino, la prima volta alle Hawaii. «La sfida? Affrontare un ostacolo che non sei sicuro di superare»

Ha deciso di diventare un ironman mentre era in orbita, a 400 chilometri dalla Terra. «Ero con il mio collega Chris Cassidy. Ci siamo detti: questa è un’esperienza incredibile, ma dopo? Cosa possiamo fare di più estremo? Così ho pensato alla gara più dura del Triathlon».
Undici mesi dopo essere tornato sulla Terra, Luca Parmitano, 40 anni, colonnello dell’Aeronautica e astronauta dell’agenzia europea Esa, primo italiano a passeggiare nello Spazio, ha completato la sua impresa nel leggendario campionato mondiale di Kona, alle Hawaii. Tempo finale: 12 ore e mezza, dopo 3,8 chilometri a nuoto, più dello Stretto di Messina, 180 in bicicletta, come andare da Milano a Modena, e per concludere una maratona a piedi.
Più difficile andare nello Spazio o finire un Ironman?
«Dal punto di vista fisico, più faticoso il secondo. Al rientro da una missione così lunga i medici ti spiegano che c’è un inevitabile decadimento fisico, è necessaria una lunga riabilitazione. Io volevo dimostrare che era possibile in meno di un anno passare da zero a una competizione così ai limiti».
Obiettivo raggiunto.
«Sì, ma l’unica cosa che ricordo con piacere è l’arrivo. Ho sofferto tantissimo, soprattutto la frazione in bici, c’era un vento contrario fortissimo. Gli organizzatori avevano saputo che due astronauti volevano fare un ironman e ci avevano invitati. Sapevo a cosa andavo incontro, che c’erano gli atleti più forti al mondo. Non sono uno che vince sempre, ma sono abituato a giocare le mie possibilità. Invece ho avuto ben chiaro sin dall’inizio che non ero all’altezza. Questo ti toglie energia, ma ho voluto concludere lo stesso. Ormai era una gara con me stesso».
E quest’anno ci riproverà.
«Da allora ho fatto solo gare più brevi, ho rafforzato la mia passione per questo sport. Poi è stata mia moglie Katy a incoraggiarmi, a convincermi che dovevo sfogare il mio desiderio di sforzo fisico prolungato, e così mi sono iscritto all’Ironman del Texas, il 22 aprile».
Che cos’è per lei il concetto di sfida?
«Affrontare un ostacolo che non sei sicuro di poter superare. Per le missioni spaziali ti prepari, sai bene cosa devi fare in ogni momento. L’Ironman è uno sport estremo, non nel senso del rischio, ma perché ti confronti con i tuoi limiti fisici».
Come ha scoperto questo sport?
«Quando mi trasferii a Houston, mi presentai al nuovo vicino. Gli dissi che ero italiano e che facevo l’astronauta. Lui ci rimase male: “Nel quartiere mi considerano il più figo perché sono un ironman. Ora per me è finita...”. Siamo diventati amici, ora è il mio allenatore».
La prima gara?
«Uno sprint a Galveston. Non mi sentivo molto allenato, mi stavo preparando per la missione spaziale, facevo molti pesi e poca attività aerobica. Arrivai terzo, e questo mi diede fiducia. Mi sono divertito tantissimo, nelle gare di Triathlon la gente incita tutti gli atleti, ti dà supporto, ti carica».
Lei ha fatto sport sin da bambino. Su Twitter ha ricordato quando a sei anni chiedeva «al papà di correre e gareggiare con me, nelle campagne siciliane».
«Da piccolo non camminavo, correvo sempre. E poi nuotavo. Da 11 anni ho giocato a basket, ho riscoperto con gioia il nuoto in Accademia aeronautica».
In quale disciplina va meglio?
«Sicuramente nel running. Nei 10.000 metri ho un primato personale di 39’. Mi difendo nel nuoto, meno nella bicicletta. Mi manca l’esperienza, tra le tre discipline è quella in cui devi prenderti cura non solo del tuo corpo, ma anche del mezzo. L’integrazione è il frutto di anni di esercizio, bisogna macinare chilometri, fare tante esperienza».
Quante volte si allena a settimana?
«Tutti i giorni, mai uno di riposo, due discipline al giorno. Quattro volte running: due uscite lunghe, due brevi di mezz’ora. Da 3 a 5 volte nuoto, due sedute più intese, le altre aerobiche. In bicicletta una è sopra le tre ore, le altre di circa un paio d’ore».
Come si fa a conciliare un impegno del genere con la famiglia, moglie e due figlie?
«Cerco di utilizzare i momenti della giornata in cui non starei comunque con loro. Uno dei privilegi del mio lavoro è che alla Nasa ho tutte quello che mi serve a portata di mano, piscina e ottime palestre. Ho il vantaggio di non perdere tempo nei trasferimenti».
Che programma di allenamento segue?
«TriDot, un sistema online basato sulle informazioni che tu gli fornisci costantemente. Il mio allenatore lavora per loro e segue i miei progressi».
Obiettivi del prossimo Ironman?
«Il primo è finirlo. Il secondo concluderlo sotto le 12 ore. Il terzo è un sogno, meglio non svelarlo adesso. E per non farmi mancare niente, tre settimane prima disputerò un mezzo Ironman, cercando di battere il mio personale che è di 4 ore e 50 minuti. Mi servirà come allenamento, ma mi conosco, darò il massimo, in gara non riesco a contenermi».
Dieta?
«Non sono molto costante. Cerco solo di scegliere alimenti salutari e naturali. Non mangio zuccheri, non solo goloso, faccio grande uso di verdura e frutta secca. Non seguo la dieta mediterranea ma quella chetogenica, ricca di grassi e proteine, povera di carboidrati».
Influisce nell’alimentazione l’addestramento da astronauta?
«Sicuramente abbiamo delle linee guida, ma devo dire che ognuno si regola a modo suo. Ho colleghi che non riescono a stare un giorno senza fast food».
Tra due mesi l’Ironman, nel 2019 tornerà nello Spazio. Qual è il filo che li unisce?
«L’impegno. Non sono un atleta particolarmente forte e neppure un astronauta fuori dal comune. Sono una persona normalissima, che si impegna duramente per migliorarsi. Proprio due giorni fa mentre correvo e avevo voglia di mollare mi sono dato forza pensando che avevo due antagonisti: il Luca del giorno prima, che dovevo superare. E il Luca del giorno dopo, a cui dovevo rendere la vita più difficile possibile. Questo vale nello sport, e anche nella vita».

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