Quando il peso fa la differenza
Uno studio americano rivela che le donne magre guadagnano 22 mila dollari in più di quelle normali o sovrappeso. Stessi risultati da una ricerca finlandese. Mentre per gli uomini la bilancia non influisce. E in Italia? Qui è già un problema trovare un'occupazione... di Simone Marchetti ed Elisa Poli
I chili di troppo discriminano anche sul luogo di lavoro. Almeno sul fronte femminile. Questa triste verità - molto nota ma raramente ammessa, nel mondo dei cacciatori di teste - viene confermata da uno studio del prestigioso Journal of applied psychology, e ripreso da Forbes: secondo le stime le donne "molto magre" guadagnano circa 22mila dollari (ossia 15mila euro) in più delle loro "colleghe normopeso". E via via aumentando i chili diminuiscono i salari.
La ricerca è stata portata avanti da due studiosi, Timothy A. Judge della University of Florida, e Daniel M. Cable della London Business School, e ha messo in relazione il reddito al peso corporeo. Ne è emerso che non solo le donne guadagnano meno se hanno un peso standard, ma sono addirittura punite se sono sovrappeso: le lavoratrici "pesanti" e "molto pesanti" perdono - rispettivamente - più di 9mila dollari e quasi 19mila dollari (circa 13mila euro) ogni anno se paragonate con le loro colleghe più snelle. E quello che è triste, anche se non sorprende, è che l'aumento di peso influisce molto sul reddito femminile, mentre su quello maschile non ha effetti rilevanti. In pratica, come ha sottolineato l'edizione online di Time Magazine, al tradizionale "gender wage gap", il differenziale salariale fra maschi e femmine, ormai si è aggiunto anche il "gender and weight wage gap" su cui gravano non solo le differenze di genere, ma anche quelle di peso.
Allo stesso risultato è giunta anche una ricerca realizzata in Finlandia e condotta da un team di ricercatori dell'università di Helsinki. Lo studio arriva alla conclusione che il peso costituisce un ostacolo per le donne che ambiscono a fare carriera, mentre non è così per gli uomini. Le donne obese di elevato livello di istruzione guadagnano circa il 30% in meno, con una differenza minima di almeno 5.000 euro all'anno, rispetto alle donne di peso normale. Nessun effetto statisticamente significativo, invece, in ambito maschile.
Non si tratta però di una tendenza nuova. I pregiudizi verso le donne in sovrappeso, e ancora di più verso quelle obese, ci sono sempre stati. Fra i tanti studi passati che lo hanno dimostrato, vale la pena ricordare quello del 2004 dell'americana Cornell University. Giunta all'identico risultato: le lavoratrici obese avevano mediamente retribuzioni più basse, a parità di ogni altra condizione, mentre gli eccessi di rotondità dei colleghi maschi non avevano effetti rilevanti sul loro trattamento.
Un problema, questo, che riguarda le donne che lavorano in tutti i campi. Hollywood compresa: nella Mecca del cinema per fare carriera devi essere magrissima, quasi trasparente. Con la conseguenza che molte celebrità (vedi Angelina Jolie, Megan Fox, Victoria Beckham) sembrano spesso a un passo dall'anoressia. Ma proprio qui dove l'estetica impera ultimamente la tendenza sembra cambiare. Grazie al successo mondiale di Oprah Winfrey, potenza numero uno dello spettacolo a stelle e strisce, ma anche di Bette Midler, star amatissima, molte donne curvy sono riuscite a emergere diventando l'emblema della rivalsa delle non magre. Guardando alla politica poi, personalità come Michelle Obama, first lady in ottima forma fisica, ma che certo non è un grissino, hanno cambiato l'immaginario femminile della donna di potere americana.
E in Italia? Nel Paese che ha il tasso di disoccupazione femminile più alto della Ue (esclusa il fanalino di coda Malta), pari a circa il 49%, la difficoltà a trovare lavoro sembra far passare in secondo piano la questione della discriminazione legata al peso. Fonti del Ministero del Lavorosostengono che, a quanto loro risulta, non ci sono ricerche in ambito nazionale che guardino non solo alla differenza di genere, ma anche a quella di peso. Ma questo non vuol dire che il peso di una donna in Italia non incida sulla ricerca del lavoro. Stando infatti al parere di Monica Boselli, responsabile dell'agenzia di headhunting MB Research "una volta che sono assunte le persone sovrappeso, sia uomini che donne, non vengono retribuite diversamente dalle normopeso. Mentre ai colloqui di lavoro l'aspetto fisico in generale e principalmente il peso corporeo, a parità di competenze e credibilità, influiscono nella scelta di un candidato o di un'altro, soprattutto se si parla di donne". "Parlando poi di lavori nell'ambito della moda" continua Monica Boselli, "per certi versi è comprensibile che si scelga una persona più magra quando si tratta di un posto che prevede un ruolo di rappresentanza, come per esempio il responsabile delle p.r. o delle vendite di una brand famoso. Anche perché di solito devono indossare i capi del marchio fashion. Questo tipo di scelta diventa meno plausibile quando si tratta di cercare, ad esempio, una addetta alla produzione interna all'azienda di moda. Ma così vanno le cose, almeno per adesso".
Di certo il tema è d'attualità anche per le tante campagne lanciate contro l'ossessione della taglia zero. Proprio in questi giorni Daniela Fedi e Lucia Serlenga, giornaliste di moda, pubblicano il loro libro "Curvy" (ed. Mondadori) dove spiegano che non si dovrebbe più parlare di dittatura della magrezza, ma nemmeno di quella nuova della grassezza, ma provare a prendere una strada diversa, in nome della salute. Così una naturale tendenza a ingrassare, ereditata come gli occhi azzurri o i capelli castani, può essere accettata, con un pizzico di ironia e una sana attività fisica, da ogni donna. Senza ansie e senza rovinarsi la vita cercando di combattere contro il proprio dna.
La ricerca è stata portata avanti da due studiosi, Timothy A. Judge della University of Florida, e Daniel M. Cable della London Business School, e ha messo in relazione il reddito al peso corporeo. Ne è emerso che non solo le donne guadagnano meno se hanno un peso standard, ma sono addirittura punite se sono sovrappeso: le lavoratrici "pesanti" e "molto pesanti" perdono - rispettivamente - più di 9mila dollari e quasi 19mila dollari (circa 13mila euro) ogni anno se paragonate con le loro colleghe più snelle. E quello che è triste, anche se non sorprende, è che l'aumento di peso influisce molto sul reddito femminile, mentre su quello maschile non ha effetti rilevanti. In pratica, come ha sottolineato l'edizione online di Time Magazine, al tradizionale "gender wage gap", il differenziale salariale fra maschi e femmine, ormai si è aggiunto anche il "gender and weight wage gap" su cui gravano non solo le differenze di genere, ma anche quelle di peso.
Allo stesso risultato è giunta anche una ricerca realizzata in Finlandia e condotta da un team di ricercatori dell'università di Helsinki. Lo studio arriva alla conclusione che il peso costituisce un ostacolo per le donne che ambiscono a fare carriera, mentre non è così per gli uomini. Le donne obese di elevato livello di istruzione guadagnano circa il 30% in meno, con una differenza minima di almeno 5.000 euro all'anno, rispetto alle donne di peso normale. Nessun effetto statisticamente significativo, invece, in ambito maschile.
Non si tratta però di una tendenza nuova. I pregiudizi verso le donne in sovrappeso, e ancora di più verso quelle obese, ci sono sempre stati. Fra i tanti studi passati che lo hanno dimostrato, vale la pena ricordare quello del 2004 dell'americana Cornell University. Giunta all'identico risultato: le lavoratrici obese avevano mediamente retribuzioni più basse, a parità di ogni altra condizione, mentre gli eccessi di rotondità dei colleghi maschi non avevano effetti rilevanti sul loro trattamento.
Un problema, questo, che riguarda le donne che lavorano in tutti i campi. Hollywood compresa: nella Mecca del cinema per fare carriera devi essere magrissima, quasi trasparente. Con la conseguenza che molte celebrità (vedi Angelina Jolie, Megan Fox, Victoria Beckham) sembrano spesso a un passo dall'anoressia. Ma proprio qui dove l'estetica impera ultimamente la tendenza sembra cambiare. Grazie al successo mondiale di Oprah Winfrey, potenza numero uno dello spettacolo a stelle e strisce, ma anche di Bette Midler, star amatissima, molte donne curvy sono riuscite a emergere diventando l'emblema della rivalsa delle non magre. Guardando alla politica poi, personalità come Michelle Obama, first lady in ottima forma fisica, ma che certo non è un grissino, hanno cambiato l'immaginario femminile della donna di potere americana.
E in Italia? Nel Paese che ha il tasso di disoccupazione femminile più alto della Ue (esclusa il fanalino di coda Malta), pari a circa il 49%, la difficoltà a trovare lavoro sembra far passare in secondo piano la questione della discriminazione legata al peso. Fonti del Ministero del Lavorosostengono che, a quanto loro risulta, non ci sono ricerche in ambito nazionale che guardino non solo alla differenza di genere, ma anche a quella di peso. Ma questo non vuol dire che il peso di una donna in Italia non incida sulla ricerca del lavoro. Stando infatti al parere di Monica Boselli, responsabile dell'agenzia di headhunting MB Research "una volta che sono assunte le persone sovrappeso, sia uomini che donne, non vengono retribuite diversamente dalle normopeso. Mentre ai colloqui di lavoro l'aspetto fisico in generale e principalmente il peso corporeo, a parità di competenze e credibilità, influiscono nella scelta di un candidato o di un'altro, soprattutto se si parla di donne". "Parlando poi di lavori nell'ambito della moda" continua Monica Boselli, "per certi versi è comprensibile che si scelga una persona più magra quando si tratta di un posto che prevede un ruolo di rappresentanza, come per esempio il responsabile delle p.r. o delle vendite di una brand famoso. Anche perché di solito devono indossare i capi del marchio fashion. Questo tipo di scelta diventa meno plausibile quando si tratta di cercare, ad esempio, una addetta alla produzione interna all'azienda di moda. Ma così vanno le cose, almeno per adesso".
Di certo il tema è d'attualità anche per le tante campagne lanciate contro l'ossessione della taglia zero. Proprio in questi giorni Daniela Fedi e Lucia Serlenga, giornaliste di moda, pubblicano il loro libro "Curvy" (ed. Mondadori) dove spiegano che non si dovrebbe più parlare di dittatura della magrezza, ma nemmeno di quella nuova della grassezza, ma provare a prendere una strada diversa, in nome della salute. Così una naturale tendenza a ingrassare, ereditata come gli occhi azzurri o i capelli castani, può essere accettata, con un pizzico di ironia e una sana attività fisica, da ogni donna. Senza ansie e senza rovinarsi la vita cercando di combattere contro il proprio dna.
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