Processo ai banchieri per aggiotaggio, a rischio 80 mila risparmiatori
Calisto Tanzi |
La questione è complessa: il 18 è attesa la sentenza di primo grado nel processo per aggiotaggio presso il Tribunale di Milano contro le banche Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank e Morgan Stanley e i cinque manager degli istituti esteri. Le date sono importanti: perché nel caso di aggiotaggio la prescrizione del reato per le persone fisiche scatta dopo sette anni e mezzo. Cioè tra poche settimane. Dunque c'è il rischio di una beffa per chi seguiva il processo speranzoso sulla strade della giustizia. La verità è che per i manager che - secondo l'accusa sostenuta dai magistrati Eugenio Fusco, Carlo Nocerino e Francesco Greco - sono coinvolti nelle vicende del crac, anche se si dovesse arrivare a una sentenza di colpevolezza di primo grado, seppure molto importante, sarebbe penalmente una vittoria di Pirro. Con l'appello, per Carlo Pagliani, Paolo Basso (Morgan Stanley), Marco Pracca, Tommaso Zibordi (Deutsche Bank) e Paolo Botta (di Citi) scatterebbe senz'altro la prescrizione del reato.
Il punto è che l'aggiotaggio è un reato puntuale: se c'è stato deve essere stato compiuto un giorno preciso. Sull'argomento c'è un'ampia manualistica. E inoltre con le nuove norme non sarebbe comunque possibile tentare di dimostrare che si tratterebbe di reiterazione del reato. Già la Chiaruttini nella sua famosa analisi all'inizio del primo processo aveva adombrato il rischio prescrizione. Non che i giudici non se ne siano resi conto: dallo scorso gennaio il processo ha subito un'accelerazione proprio per evitare il rischio di arrivare alla prescrizione addirittura prima della sentenza. Va detto onestamente che il processo principale, quello per le responsabilità del crac vero e proprio, è quello di Parma. Un avvocato di una delle banche considera l'appuntamento milanese una «scheggia». Anche perché la stessa persona sottolinea come la maggior parte dei risparmiatori che si sono costituiti parte civile nel processo (32 mila rappresentati dall'avvocato Carlo Federico Grosso e circa 8 mila rappresentati dalle associazioni dei consumatori) abbiano già sottoscritto degli accordi con le banche nel processo.
Ma sembra un punto di vista di parte. Perché da un punto di vista mediatico e di partecipazione emotiva, al processo sono in molti che attendono di vedere cosa succederà agli istituti di credito tra gli ex creditori di Tanzi. Basterebbe una passeggiata nella blogosfera. La posizione delle banche estere è comunque diversa perché in un'affollata aula del Tribunale meneghino, lo scorso gennaio, Fusco ha chiesto in base alla legge 231 - non aver predisposto delle strutture atte a evitare che i propri dipendenti si possano rendere responsabili di comportamenti contro il mercato - di procedere contro le banche confiscando parallelamente la cifra monstre di 120 milioni.
Contro la 231 non c'è prescrizione. Ma in ogni caso la Cassazione ha già chiarito che non è possibile costituirsi parte civile contro le società per le responsabilità amministrative. Dunque, in soldoni, da un'eventuale sentenza di colpevolezza delle banche come persone giuridiche non arriverà nulla ai risparmiatori. L'unica speranza era la sentenza contro le persone fisiche che avrebbe permesso ai risparmiatori di chiedere di fronte al giudice civile il risarcimento del danno subito. Ma gli unici che potrebbero trarne vantaggio a questo punto sono 1.200 parti civili che non hanno firmato per vari motivi gli accordi con le banche. Per loro, in caso di sentenza favorevole, potrebbe aprirsi qualche spiraglio. Per tutti gli altri, se ancora hanno le azioni che hanno ricevuto sulla base del concordato in cambio dei Tanzi-bond, non resta che sperare in una ripresa del titolo Parmalat in Borsa nella contesa in corso tra Italia e Francia.
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