La notizia è stata confermata da fonti investigative: a provocare le lesioni sul corpo della 13enne
sarebbero state una lama e un altro corpo contundente. Voci sul Dna di un uomo e di una donna
BREMBATE DI SOPRA - Due armi diverse. Questo è certo. E forse due assassini, ma qui occorre cautela. Nella nebulosa (dovuta al riserbo degli inquirenti) che avvolge le indagini sull'omicidio di Yara Gambirasio, iniziano a emergere i primi contorni: non ancora abbastanza nitidi per poter parlare di una svolta decisiva, ma nemmeno così generici da non rappresentare un importante passo in avanti nella caccia al responsabile (o responsabili) del delitto. Le indiscrezioni, confermate dagli investigatori, riguardano i primi risultati (ancora ufficiosi) dell'autopsia eseguita sul corpo della ragazzina.
E ancora: il corpo di Yara è sempre rimasto, fin dalla sera del rapimento il 26 novembre scorso, nel campo di via Bedeschi Chignolo d'Isola in cui è stato alla fine trovato esattamente tre mesi dopo. Lo attesta la comparazione delle tracce vegetali e dei pollini prelevati nel prato. Gli stessi esami hanno stabilito che il cadavere è stato coperto dalla neve per un totale di 25 giorni.
Gli esperti dell'Istituto di medicina legale di Milano hanno riscontrato ferite attribuibili a due armi diverse: una lama (quasi certamente un coltello) e un altro corpo contundente. Forse un martello, forse una pietra. Yara è stata dunque colpita con due oggetti e in più punti: nella zona lombare del dorso; fra la nuca e la base del collo; e al polso sinistro. Impossibile stabilire, almeno per ora, quali siano stati i colpi letali: se quelli inferti con la lama o con l'altra arma. Né si ha un'idea di quando la giovane ginnasta abbia smesso di vivere.
Per avere dati più circostanziati occorrerà aspettare i risultati di tutte le analisi di laboratorio: che si annunciano particolarmente difficili date le condizioni del cadavere (in avanzato stato di decomposizione). Ma un primo dato è stato fissato e non è affatto secondario: chi ha ucciso Yara - rapita il 26 novembre e ritrovata in un campo a Chignolo d'Isola tre mesi dopo - si è servito di due armi. Non è escluso che a impugnarle siano state due persone. E qui arriviamo al secondo punto sul quale è possibile avanzare più di un sospetto. Sul corpo della ragazzina sono state trovate due diverse tracce di Dna "estranee a quello della vittima": una maschile e una femminile. La prima è stata confermata dagli inquirenti. La seconda non è stata confermata ma nemmeno smentita.
Va detto - e chi indaga lo ha sottolineato invitando alla prudenza - che l'isolamento delle impronte biologiche, al momento, non ha ancora un valore investigativo elevato. Per verificare che i segni genetici ritrovati sui resti di Yara appartengano al, o agli assassini e non, per esempio, a un familiare, bisogna andare avanti con le analisi: sono già al via le prime comparazioni sui profili "catturati" nel corso delle indagini. Amici, conoscenti, vicini di casa, persone segnalate, adolescenti e adulti: per stringere il cerchio intorno al colpevole si indaga a ampio raggio. Il mondo di Yara è fatto di apparente routine e di poche e conosciute cose. Ma è in quel piccolo mondo che potrebbe essersi infilato un mostro insospettabile. Forse, come già spiegato, nella galassia di frequentatori della palestra dove la giovane si allenava e dalla quale era uscita la sera del 26 novembre.
Ad aspettarla - è l'idea degli investigatori - c'era qualcuno che quasi certamente Yara conosceva, una persona di cui si fidava a tal punto da salirci in macchina. Poi, il delitto. Con due scenari possibili (suggeriti dalle prime risultanze dell'autopsia): un solo assassino che colpisce la vittima con due armi diverse (magari infierendo sul suo corpo); o due persone che la aggrediscono con un'arma ciascuno.
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