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18 mar 2011

L'Italia s'è desta, per Berlusconi inno di fischi

Altro che festa! Un calvario di fischi, insulti, sarcasmi, allusioni al bunga bunga, inviti alle dimissioni, contestazioni e cori sferzanti da stadio il tour risorgimentale di Silvio, costretto a partecipare da attore non protagonista al centocinquantesimo per l'Italia unita, e ad assistere quasi imbronciato ai ripetuti bagni di folla del Presidente della Repubblica. 



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«Oggi niente dichiarazioni, le lasciamo fare al Capo dello Stato», spiegava il Cavaliere ai giornalisti all'inizio della giornata. A Santa Maria degli Angeli, poco dopo, Silvio veniva sonoramente fischiato. E lo stesso accadeva durante la messa celebrata dal cardinal Bagnasco. Alla fine della funzione, così, il Cavaliere decideva di lasciare la Basilica dal varco della Sacrestia, mentre Napolitano, Fini, Schifani, ecc. guadagnavano l'uscita dalla porta principale. Per la successiva visita al museo della Repubblica romana, ad accogliere il premier al grido di «dimissioni, dimissioni» erano stati pochi. 

Alla fine, però, i fischi della folla che si era raccolta - non si scorgevano i centri sociali ai quali il capo del governo attribuisce ogni contestazione di piazza - sovrastavano di gran lunga le voci dei pochi che lo esortavano a «resistere». 

Al Teatro dell'Opera di Roma, alla fine, per il Nabucco diretto da Riccardo Muti, la gente assiepata dietro le transenne lo accoglieva scandendo un eloquente «vattene, vattene». La festa del «re» Cavaliere guastata da qualche isolato «imbecille», come sostiene Carlo Giovanardi? Un Savoia di rango come Emanuele Filiberto ha definito ieri Berlusconi «molto più» di un sovrano. 

A sentire il principe per le teste coronate le contestazioni sarebbero «normali». «Quando ho partecipato a Sanremo - svela il pronipote di Vittorio Emanuele, cercando di dare una mano al premier - dietro le quinte, se non fischiavano, non sapevo mai quando era il momento di entrare in scena». 

Il centocinquantesimo dell'Unità come un festival della canzone italiana, in poche parole!. Berlusconi, però, i fischi di ieri li ha presi proprio male. A chi ha avuto modo di parlargli, il Cavaliere è apparso rammaricato. «Almeno oggi avrebbero potuto evitare....», avrebbe esclamato Silvio alludendo alla giornata tricolore. A preoccuparlo, in realtà, è «l'effetto megafono» che possono determinare le contestazioni di ieri. 

Che per il premier, in realtà, costituiscono la spia della disillusione del Paese che anche i sondaggi fotografano. La propaganda Pdl, naturalmente, riconduce i fischi alle «provocazioni organizzate dalla sinistra». Ieri, però, a prendere di mira il premier è stata la gente normale. Sono stati uomini e donne di diverse generazioni, perfino padri e madri con i bambini per mano che si sono lasciati andare ad un rito quasi liberatorio. 

«Vado avanti, non lascio il Paese in mano ai comunisti» come avvenne nel '94, aveva assicurato Silvio all'inizio della giornata, rispondendo alle esortazioni di chi lo acclamava all'Altare della Patria e lo incitava a «resistere». Perché è chiaro che il 17 marzo del premier è stato contrassegnata da molte contestazioni, ma anche da molti applausi. A prevalere, però, non sono stati «i fischi comunisti» né a piazza della Repubblica, né al Gianicolo, né all'Opera di Roma.

E le contestazioni, commisurate alle ovazioni riservate a Napolitano costituiscono per il Cavaliere un boccone doppiamente amaro. Nemmeno l'amico Bossi ieri gli ha teso la mano. Silvio fischiato? «peggio per lui», ha commentato lapidario il leader della Lega. E costretto a fare buon viso a cattivo gioco, il Berlusconi privatamente amareggiato, alla fine del centocinquantesimo, ha dovuto spiegare che quella di ieri è stata anche per lui una «magnifica giornata». 

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