Ben il 91% dei disoccupati di famiglie monoreddito in Italia sono da considerarsi a rischio poverta', contro il 32% del Belgio, il 55% della Spagna e il 75% del regno Unito. E' quanto emerge dal 44/o rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese. Il 62% degli italiani esprime un giudizio negativo sugli strumenti di tutela e supporto per i disoccupati, ed e' una percentuale molto piu' alta rispetto alla media europea del 45% e lontana dal 29% della Francia, dal 28% della Gran Bretagna, dal 39% della Germania. Per quanto riguarda le politiche di lotta alla poverta' in Italia, il 59% dichiara che non stanno avendo un particolare impatto mentre per il 21% stanno peggiorando le cose e solo il 10% parla di un impatto positivo.
CROLLO DEI RISPARMI
Quasi il 40% degli italiani dice di non avere risparmi da utilizzare ma le famiglie che possono investire confermano ''l'inossidabile fiducia'' nel mattone. Il Censis osserva che il 2010, dopo tre anni di calo dei volumi, mostra un leggero progresso nelle compravendite di case (+3,4% rispetto al 2009). In questo momento investire nel mattone e' il canale preferibile per l'impiego dei risparmi familiari per il 22,7% degli italiani, contro il 21,8% che pensa che i risparmi vadano mantenuti liquidi sul conto corrente e appena l'8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e quote di fondi di investimento. C'e' comunque un 39,7% di italiani - rileva il Censis - che dichiara di non avere risparmi.
GIOVANI, PERSO QUASI MEZZO MILIONI DI POSTI
La crisi sembra avere prodotto i suoi perversi effetti su una sola componente del mercato del lavoro, quella giovanile: nel 2009, tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). Di contro, se si esclude la fascia immediatamente successiva, dei 35-44enni, dove pure si e' registrato un decremento del livello di occupazione (-1,1% tra il 2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti gli altri segmenti generazionali, non solo l'occupazione ha tenuto, ma e' risultata addirittura in crescita: e' aumentata di 85.000 unita' tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009) e di piu' di 100.000 tra gli over 55 (+3,7%). E i primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare nella stessa direzione. Tra le ragioni che hanno visto cosi penalizzata la componente giovanile del lavoro, oltre al maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilita' (tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si e' avuta una fortissima contrazione sia del lavoro a progetto del 14,9%, che del lavoro temporaneo del 7,3%), non va trascurata la crescente inadeguatezza del sistema formativo nel produrre le competenze che servono davvero alle imprese e nel formare i giovani al lavoro. A fronte di una domanda che riflette le esigenze specifiche del sistema produttivo, l'offerta rischia di risultare poco rispondente. In pochissimi casi i giovani che si presentano sul mercato del lavoro possono vantare un'esperienza lavorativa alle spalle: tra quanti hanno 15-19 anni ha seguito nel corso degli studi un programma di formazione-lavoro il 12,3% e svolto un lavoro retribuito il 3,5%. Migliora un po' la situazione nella fascia d'eta' successiva, tra i 20 e i 24 anni, dove la percentuale sale al 37,2%. Vi e' poi una quota ancora estremamente ampia di giovani che si presenta sul mercato senza un bagaglio di competenze e conoscenze specifiche: tra i giovani fino a 35 anni che ricercano un lavoro ben il 37% possiede al massimo il titolo di scuola media; la maggioranza ha un diploma o una qualifica professionale (rispettivamente il 43,1% e il 6,2%) e "solo" il 13,8% e' laureato. Infine l'offerta formativa risulta solo in parte adeguata a soddisfare i fabbisogni delle aziende, considerato che nel 26,7% dei casi queste incontrano difficolta' a recuperare le competenze tecnico-professionali di cui hanno bisogno per il ridotto numero di candidati o per la mancanza di preparazione degli aspiranti.
GIOVANI, IL 16% NON CERCA NEMMENO PIU' UN LAVORO
Il 16,3% della popolazione appartenente alla fascia di eta' compresa tra i 15 e i 34 anni risulta innativa: non studia, non lavora e non e' nemmeno impegnata nella ricerca di un'occupazione. I giovani, rileva il Censis, sono coloro che piu' hanno avvertito sulla loro pelle il peso della crisi: nei primi due trimestri del 2010 si e' registrato un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni del 5,9%, a fronte di un calo medio dello 0,9%. Tra costoro, le persone che non sono impegnate in un'attivita' di studio, non hanno un lavoro, non lo cercano e non sembrano interessati a trovarlo sono 2.242.000, un universo pari al 16,3% del totale, percentuale che sale al 19,2% nella fascia d'eta' tra i 25 e i 34 anni. Si tratta in prevalenza di donne, con un basso livello di educazione (il 51,5% ha al massimo la licenza media) e provenienti soprattutto dal Mezzogiorno (60,3%). Se si escludono quanti, soprattutto donne, stanno a casa per prendersi cura dei figli (20,6%), la parte restante spiega la propria scelta trincerandosi dietro un mix perverso di sfiducia e inerzia: il 20,9% non cerca lavoro perche' sa che non lo trovera', il 13,1% perche' sta aspettando delle risposte, l'11% perche' frequenta temporaneamente qualche corso, il 5,2% perche' non gli interessa e non ne ha bisogno. Il 10,9%, infine, chiama in causa altri motivi non meglio specificati ma estranei a obblighi familiari o legati all'istruzione.
CALA LA SPESA DELLE FAMIGLIE
La spesa media mensile delle famiglie italiane si e' attestata nel 2009 su 2.442 euro. Di questi 1.981 euro sono destinati all'acquisto di beni e servizi non alimentari: rispetto al 2007, la spesa media complessiva si e' contratta di 38 euro al mese (5 dei quali riconducibili a una diminuzione della spesa alimentare). Con la crisi, si registra una crescita del credito al consumo (+5,6% nel 2008 e +4,7% nel 2009) - segnala il Censis - mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009. Hanno contribuito soprattutto le carte di credito (+9% di operazioni rispetto al 2008), le carte prepagate (+23,6%), i bonifici bancari automatizzati (+1,3%). I consumi "obbligati" delle famiglie si sono, da parte loro, attestati su un livello mai raggiunto in precedenza. Erano il 18,9% della spesa familiare complessiva nel 1970, il 24,9% nel 1990, il 27,7% nel 2000 e oggi superano il 30%. Crescono le forme di pagamento cui non ci si puo' sottrarre. Gli aumenti tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di 1.000 euro a famiglia. Poi ci sono i contributi aggiuntivi per le scuole dell'obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono le esangui casse dei Comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei redditi. Complessivamente, la stima della "tassazione occulta" elaborata dal Censis porta a 2.289 euro all'anno per una famiglia di tre persone.
EVASIONE A 100 MILIARDI L'ANNO, IL 17% DEL PIL
Sul sistema Paese pesa come un macigno l'evasione fiscale valutata intorno a 100 miliardi di euro l'anno. L'economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3%, portando l'incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6%. A trainarla e' stata la componente piu' invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%. Ma gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si e' chiuso un occhio, anche per convenienza personale. Secondo un'indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua nell'evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l'evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l'evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora piu' di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto piu' se questo consente di risparmiare qualche euro. Inoltre, posti davanti all'opzione "piu' servizi, piu' tasse" oppure "meno tasse, meno servizi", la maggioranza degli italiani (55,7%) propende decisamente per la prima ipotesi, segnando una controtendenza nei confronti di un passato non troppo lontano, una voglia di Stato legata alla crisi, che ha messo in discussione certezze acquisite sia a livello economico che sociale.
CROLLO DEI RISPARMI
Quasi il 40% degli italiani dice di non avere risparmi da utilizzare ma le famiglie che possono investire confermano ''l'inossidabile fiducia'' nel mattone. Il Censis osserva che il 2010, dopo tre anni di calo dei volumi, mostra un leggero progresso nelle compravendite di case (+3,4% rispetto al 2009). In questo momento investire nel mattone e' il canale preferibile per l'impiego dei risparmi familiari per il 22,7% degli italiani, contro il 21,8% che pensa che i risparmi vadano mantenuti liquidi sul conto corrente e appena l'8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e quote di fondi di investimento. C'e' comunque un 39,7% di italiani - rileva il Censis - che dichiara di non avere risparmi.
GIOVANI, PERSO QUASI MEZZO MILIONI DI POSTI
La crisi sembra avere prodotto i suoi perversi effetti su una sola componente del mercato del lavoro, quella giovanile: nel 2009, tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). Di contro, se si esclude la fascia immediatamente successiva, dei 35-44enni, dove pure si e' registrato un decremento del livello di occupazione (-1,1% tra il 2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti gli altri segmenti generazionali, non solo l'occupazione ha tenuto, ma e' risultata addirittura in crescita: e' aumentata di 85.000 unita' tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009) e di piu' di 100.000 tra gli over 55 (+3,7%). E i primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare nella stessa direzione. Tra le ragioni che hanno visto cosi penalizzata la componente giovanile del lavoro, oltre al maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilita' (tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si e' avuta una fortissima contrazione sia del lavoro a progetto del 14,9%, che del lavoro temporaneo del 7,3%), non va trascurata la crescente inadeguatezza del sistema formativo nel produrre le competenze che servono davvero alle imprese e nel formare i giovani al lavoro. A fronte di una domanda che riflette le esigenze specifiche del sistema produttivo, l'offerta rischia di risultare poco rispondente. In pochissimi casi i giovani che si presentano sul mercato del lavoro possono vantare un'esperienza lavorativa alle spalle: tra quanti hanno 15-19 anni ha seguito nel corso degli studi un programma di formazione-lavoro il 12,3% e svolto un lavoro retribuito il 3,5%. Migliora un po' la situazione nella fascia d'eta' successiva, tra i 20 e i 24 anni, dove la percentuale sale al 37,2%. Vi e' poi una quota ancora estremamente ampia di giovani che si presenta sul mercato senza un bagaglio di competenze e conoscenze specifiche: tra i giovani fino a 35 anni che ricercano un lavoro ben il 37% possiede al massimo il titolo di scuola media; la maggioranza ha un diploma o una qualifica professionale (rispettivamente il 43,1% e il 6,2%) e "solo" il 13,8% e' laureato. Infine l'offerta formativa risulta solo in parte adeguata a soddisfare i fabbisogni delle aziende, considerato che nel 26,7% dei casi queste incontrano difficolta' a recuperare le competenze tecnico-professionali di cui hanno bisogno per il ridotto numero di candidati o per la mancanza di preparazione degli aspiranti.
GIOVANI, IL 16% NON CERCA NEMMENO PIU' UN LAVORO
Il 16,3% della popolazione appartenente alla fascia di eta' compresa tra i 15 e i 34 anni risulta innativa: non studia, non lavora e non e' nemmeno impegnata nella ricerca di un'occupazione. I giovani, rileva il Censis, sono coloro che piu' hanno avvertito sulla loro pelle il peso della crisi: nei primi due trimestri del 2010 si e' registrato un calo degli occupati tra i 15 e i 34 anni del 5,9%, a fronte di un calo medio dello 0,9%. Tra costoro, le persone che non sono impegnate in un'attivita' di studio, non hanno un lavoro, non lo cercano e non sembrano interessati a trovarlo sono 2.242.000, un universo pari al 16,3% del totale, percentuale che sale al 19,2% nella fascia d'eta' tra i 25 e i 34 anni. Si tratta in prevalenza di donne, con un basso livello di educazione (il 51,5% ha al massimo la licenza media) e provenienti soprattutto dal Mezzogiorno (60,3%). Se si escludono quanti, soprattutto donne, stanno a casa per prendersi cura dei figli (20,6%), la parte restante spiega la propria scelta trincerandosi dietro un mix perverso di sfiducia e inerzia: il 20,9% non cerca lavoro perche' sa che non lo trovera', il 13,1% perche' sta aspettando delle risposte, l'11% perche' frequenta temporaneamente qualche corso, il 5,2% perche' non gli interessa e non ne ha bisogno. Il 10,9%, infine, chiama in causa altri motivi non meglio specificati ma estranei a obblighi familiari o legati all'istruzione.
CALA LA SPESA DELLE FAMIGLIE
La spesa media mensile delle famiglie italiane si e' attestata nel 2009 su 2.442 euro. Di questi 1.981 euro sono destinati all'acquisto di beni e servizi non alimentari: rispetto al 2007, la spesa media complessiva si e' contratta di 38 euro al mese (5 dei quali riconducibili a una diminuzione della spesa alimentare). Con la crisi, si registra una crescita del credito al consumo (+5,6% nel 2008 e +4,7% nel 2009) - segnala il Censis - mentre il valore delle operazioni con carte di pagamento ha raggiunto complessivamente i 252 miliardi di euro nel 2009. Hanno contribuito soprattutto le carte di credito (+9% di operazioni rispetto al 2008), le carte prepagate (+23,6%), i bonifici bancari automatizzati (+1,3%). I consumi "obbligati" delle famiglie si sono, da parte loro, attestati su un livello mai raggiunto in precedenza. Erano il 18,9% della spesa familiare complessiva nel 1970, il 24,9% nel 1990, il 27,7% nel 2000 e oggi superano il 30%. Crescono le forme di pagamento cui non ci si puo' sottrarre. Gli aumenti tariffari per il prossimo anno vengono calcolati in poco meno di 1.000 euro a famiglia. Poi ci sono i contributi aggiuntivi per le scuole dell'obbligo, le fasce blu per i parcheggi, le multe che sostengono le esangui casse dei Comuni, le revisioni di auto e caldaie, le parcelle per la dichiarazione dei redditi. Complessivamente, la stima della "tassazione occulta" elaborata dal Censis porta a 2.289 euro all'anno per una famiglia di tre persone.
EVASIONE A 100 MILIARDI L'ANNO, IL 17% DEL PIL
Sul sistema Paese pesa come un macigno l'evasione fiscale valutata intorno a 100 miliardi di euro l'anno. L'economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 un aumento del valore del 3,3%, portando l'incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6%. A trainarla e' stata la componente piu' invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%. Ma gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si e' chiuso un occhio, anche per convenienza personale. Secondo un'indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua nell'evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l'evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l'evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora piu' di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto piu' se questo consente di risparmiare qualche euro. Inoltre, posti davanti all'opzione "piu' servizi, piu' tasse" oppure "meno tasse, meno servizi", la maggioranza degli italiani (55,7%) propende decisamente per la prima ipotesi, segnando una controtendenza nei confronti di un passato non troppo lontano, una voglia di Stato legata alla crisi, che ha messo in discussione certezze acquisite sia a livello economico che sociale.
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