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6 dic 2010

Assange al contrattacco: "Onu spiato, se Obama sapeva ora deve dimettersi"

Non si ferma la caccia al leader
di Wikileaks. Il suo avvocato:
"La motivazione è solo politica,
temiamo l'estradizione in Usa"

LONDRA
La Svezia lo ricerca per stupro. L'Interpol gli dà la caccia in tutta Europa. Qualche governo lo minaccia di morte. I suoi legali patteggiano con Scotland Yard. Ma dov'è Julian Assange? Forse in Gran Bretagna, secondo le ultime voci. Quello che è certo, dicono i suoi avvocati, è che in molti vogliono la sua testa, Usa per primi. E solo per motivi politici.

Ma se fisicamente non si sa dove sia, il fondatore di Wikileaks si è di nuyovo "materializzato" oggi sul Web in una chat con il quotidiano spagnolo El Pais. Assange passa al contrattacco e nel mirino finisce il presidente Usa. «Barack Obama deve dirci se sapeva degli 007 americani alle Nazioni Unite. Se rifiuta di rispondere o ci sono prove del suo coinvolgimento, si deve dimettere», sostiene l'australiano spiegando che tutti quelli che sapevano «di questo ordine illegale e che lo approvarono deve dimettersi se gli Usa vogliono apparire come una nazione credibile che obbedisce alle leggi».

Il fondatore di Wikileaks è cosciente della portata delle sue rivelazioni. «È la più grande e più significativa filtrazione della storia», afferma. E prevede che l'effetto dei "megaleaks" sarà che «la geopolitica si dividerà in un "pre" e "post" Cablegate». A El Pais, Assange conferma che la sua vita è in pericolo. Si dice «preoccupato» perchè «riceviamo minacce di morte da personaggi vicini ai militari Usa. Ci sono precise richieste per il nostro assassinio, rapimento, esecuzione da parte dell'elite della società americana». E rivela che, ora, le minacce si estendono «anche ai nostri avvocati e ai miei figli». Quindi allega alle sue parole una lista delle persone che lo hanno minacciato (anche solo prendendosela pubblicamente con lui o con il sito), da Sarah Palin al senatore Joe Liberman.

L'intervista è breve, la connessione web è a singhiozzo. Assange non svela se e quando tornerà in superficie. Ma, sull'accusa di stupro che pende su di lui è chiaro: «C'è stato un equivoco, è qualcosa che è evidente a tutti». E promette di «lottare ed esporre» le proprie ragione se la Corte suprema svedese rifiuterà il suo ricorso. Poi la connessione si interrompe. Assange non risponde più. «È andato via, mi dispiace», scrive il suo assistente contribuendo ad arricchire l'atmosfera di mistero che circonda l'eroe-criminale più ricercato del momento. Su di lui, che ha svelato al mondo i segreti della diplomazia americana pubblicando centinaia di migliaia di documenti riservati, dal punto di vista legale al momento pesa solo un mandato di cattura internazionale per stupro. Emesso dall'Interpol su richiesta della Svezia, il mandato di cattura riguarda un presunto caso di «violenza sessuale e coercizione» per cui Assange si è sempre dichiarato innocente.

Secondo i suoi legali la vicenda è una "copertura" per la caccia all'uomo portata avanti da quei governi che, Usa in testa, vogliono zittire l'hacker-giornalista e il suo sito. «La caccia a Julian sembra avere motivazioni politiche», ha detto oggi alla Bbc il suo avvocato, Mark Stephens, che si è detto si è detto «preoccupato per le motivazioni politiche che sembrano esserci dietro» questa vicenda. Il principale timore, spiega, è che una volta catturato in Svezia possa essere immediatamente estradato negli Usa. Una paura fondata, secondo l'avvocato, sui legami tra Stoccolma e Washington, avendo la Svezia «messo a disposizione le sue risorse e le sue installazioni» per voli segreti della Cia organizzati dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 per trasportare sospetti terroristi e interrogarli all'estero. A sostegno della "tesi del complotto", anche l'identità della principale accusatrice di Assange, cioè Anna Ardin, il cui profilo è stato "vivisezionato" in rete dai sostenitori di Wikileaks: lei, dicono, avrebbe sporto denuncia per vendetta avendo lavorato per il governo svedese a Washington ed essendo la sorella di un militare in Afghanistan. Sarebbe quindi una «spia» nella campagna di fango orchestrata dal Pentagono dopo la pubblicazione di 77.000 documenti segreti sulla guerra in Afghanistan.

Ma la procura svedese smentisce l'ipotesi di estradizione. «Se qualcuno è arrestato ed è sotto processo da un tribunale svedese, nessuna autorità può venire da noi e prenderci l'imputato», ha detto il procuratore in carica del dossier Assange, Marianne Ny. La stessa che si è rifiutata di interrogare Assange a Londra la scorsa estate, quando era stato emesso un primo mandato di cattura e l'avvocato dell'hacker aveva dato disponibilità per un interrogatorio in Gran Bretagna. «Non possiamo farlo, le leggi svedesi e inglesi ce lo impediscono», ha detto Ny. Intanto, anche l'Australia mette sotto pressione il suo cittadino Assange. Prima ha fatto sapere che un suo ritorno in patria è impossibile, ed ora ha cominciato ad indagare per capire se con la diffusione dei cablogrammi diplomatici riservati abbia violato le leggi di Camberra.

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