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7 nov 2010

Quando anche una tartina fa networking

La serata dei giovani talenti italiani in gara per un viaggio alla Silicon Valley. Speranze e buonumore

MILANO – Dopo dure selezioni, corsi di business comunication e una lunga giornata in sala Buzzati al Corriere della Sera, i finalisti del Venture Camp si possono finalmente godere una sera di festa. Anzi no. Perché, in attesa del giorno della grande scelta, quando si saprà chi andrà in California, anche l’evento organizzato venerdì sera allo showroom di Meritalia in via Durini, nel centro di Milano, è un ulteriore importante passo verso la Silicon Valley. «La capacità di crearsi dei contatti, di comunicare il proprio progetto a dei futuri e possibili investitori, insomma il sapersi relazionare – spiega Alberto Onetti, chairman di Mind The Bridge Foundation – è un parametro fondamentale per il successo di una persona o di una azienda. Negli Usa viene definito «networking» e, quando alcuni di questi ragazzi saranno in California, si renderanno conto di quanto tutto ciò sia importante».

«I LIKE» - Seduti su divanetti di design, sorseggiando un buon bicchiere di vino con in mano una tartina, i giovani talenti e futuri imprenditori made in Italy si mettono alla prova. C’è chi distribuisce volantini, chi indossa il proprio prodotto, chi sfoggia sorrisi. Unico obbiettivo, catturare le attenzioni dei presenti, e guadagnarsi più «apprezzamenti» possibili. «All’ingresso distribuiamo due serie di adesivi: in uno, tondo e grigio, è scritto “I’m a talent” e lo indossano i ragazzi che presentano le proprie start up – prosegue Onetti –. L’altra serie, distribuita ai giudici, organizzatori e invitati alla serata, prevede delle piccole etichette con un pollice in su e la scritta “I like”». Ogni volta che un imprenditore riesce a convincere il proprio interlocutore della bontà del proprio progetto, riceve in cambio un adesivo. E alla fine della serata arriva la conta finale: vince chi ottiene più “like”.

SICURI DI FARCELA - Mirko e Vito di Fubles sul loro divanetto non sono mai seduti. La strategia è attirare le persone attraverso il volantinaggio: «Abbiamo distribuito un sacco di volantini e non solo stasera. La nostra attività esiste da quattro anni, certo andare in California sarebbe il sogno. Noi ci crediamo, pensiamo in grande». Anche Giuseppe, 29 anni di Catania, è convintissimo della propria idea, tanto da indossarla: «Abbiamo studiato una cella fotovoltaica lowcost da inserire sui capi d’abbigliamento, in modo da poter ricaricare il proprio dispositivo. Quando arrivi fin qui e hai passato tutte le selezioni, non puoi pensare di non vincere». E anche Alexandros, di origini greco-turche, ma con una laurea a Bologna racconta la sua esperienza al Venture Camp: «Mi occupo di membrane cellulari e comunque vadano le cose sono contento di aver partecipato, perché ho imparato tantissimo. Queste serate sono utilissime per i contatti». L’entusiasmo dei ragazzi contagia anche gli esperti: «Ho visto dei progetti molto interessanti – commenta Evan Nisselson, imprenditore di New York e giurato – l’Italia ha davvero dei gran cervelli, ma sembra che gli industriali di questo paese non se ne accorgano o che non vogliano rischiare. Negli USA abbiamo una mentalità diversa, spero di poter aiutare qualcuno di loro».


POCA INVIDIA E MOLTA STIMA - L’altmosfera non sembra quella di una gara. I ragazzi si conoscono da mesi, fin dalle primissime selezioni. Per questo alla finale di Milano sono stati invitati anche gli “esclusi”: «Il nostro progetto di social business si è fermato alla semifinale – raccontano Luca e Andrea, già imprenditori in un settore diverso a La Spezia –, ma abbiamo capito dove abbiamo sbagliato e siamo comunque venuti qui per imparare. Chissà, magari l’anno prossimo ci riproviamo, noi siamo convinti di avere in mano una bellissima idea». Quindi niente invidia e competizione? «Be’ un po’ c’è, ma è normale. Anche se si tratta di business diversi tra loro, per questo ci stimiamo molto: il successo di uno è il successo di un intero sistema». Non resta che incrociare le dita.

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