Uomini vicini al premier fornivano informazioni all'ambasciata. A differenza delle altre cancellerie, la Farnesina sembra destabilizzata dai file di Assange. I duri giudizi sul presidente del Consiglio non sono pareri personali
NEW YORK - Silvio Berlusconi da Tripoli l'ha definita "una funzionaria di terzo grado". In realtà Elizabeth Dibble a Roma era di fatto l'ambasciatore in carica. L'autrice e firmataria dei pesanti rapporti al Dipartimento di Stato, in cui il premier italiano viene definito "politicamente debole, inefficace come leader europeo moderno", incapacitato dai "selvaggi party notturni", nonché "portavoce di Putin", oggi è tornata a Washington. Dopo oltre due anni trascorsi alla guida della sede italiana - dalla nascita dell'attuale governo Berlusconi fino a ottobre - lei è stata promossa. Il suo incarico odierno: Deputy Assistant Secretary di Hillary Clinton. Da un mese la Dibble dirige al Dipartimento di Stato la sezione European and Eurasian Affairs. Ora fanno riferimento alla Dibble tutte le ambasciate Usa nell'Unione europea. Perciò il Dipartimento di Stato, sia pure in una giornata che vede la Clinton sulla difensiva per il ciclone-WikiLeaks, deve confermare che le valutazioni di Berlusconi sono state espresse "dalle fonti diplomatiche di massimo livello".
C'è di più. Quei giudizi gravi, dai sospetti sulla vera natura dell'amicizia con Putin alla salute fisica del presidente del Consiglio, non sono pensieri personali della Dibble. Proprio come ha precisato l'ambasciatore David Thorne, quelle sono "analisi" (da non confondersi con le "politiche" elaborate a Washington). Ecco come definiscono il metodo seguito nella compilazione delle "analisi" al Dipartimento di Stato: "Informazioni e valutazioni sono state raccolte consultando anche membri del governo italiano, esponenti della coalizione di maggioranza, nonché gli ambienti imprenditoriali". La Dibble è un personaggio molto noto a chiunque abbia frequentato l'ambasciata di Via Veneto. Nella sua permanenza dal 2008 al 2010 la sua carica ufficiale era Chief of Mission and Chargé d'Affaires. Cioè la più alta diplomatica di carriera a Roma, visto che gli ambasciatori americani sono di nomina politica e vengono scelti fuori dai ranghi del Dipartimento di Stato. Dunque lei era l'ambasciatore-vicario. Come spiega il suo profilo sul sito ufficiale del Dipartimento di Stato, la Dibble aveva "la direzione operativa di una sede con 800 dipendenti".
Nel lungo interregno (6 mesi) fra la partenza dell'ambasciatore repubblicano Ronald Spogli il 6 febbraio 2009, e l'arrivo del democratico Thorne il 17 agosto dello stesso anno, la Dibble fu anche formalmente la numero uno dell'ambasciata, l'interlocutrice primaria della Casa Bianca e della Clinton sugli affari italiani. Lei proveniva da un altro compito importante al Dipartimento di Stato: era stata ai vertici del Bureau of Economic, Energy and Business Affairs dal 2006 al 2008. Questo spiega la sua particolare sensibilità verso la politica energetica italiana, e la sua attenzione per quella "amicizia personale con risvolti d'affari" tra Berlusconi e Putin. Ma l'intelligence che Elizabeth Dibble raccoglieva e trasmetteva puntualmente a Washington, era il frutto di una sistematica consultazione di interlocutori italiani del più alto livello: ministri in carica, leader delle forze politiche di maggioranza e opposizione, l'establishment industriale e finanziario. E' da quei contatti quotidiani che la Dibble "distillava" le sue informative sul premier.
L'esistenza di queste "gole profonde" nell'entourage di Berlusconi, è sufficiente a spiegare le reazioni del premier da Tripoli? Al Dipartimento di Stato sia pure nel bel mezzo di un "perfect storm", una tempesta storica, non sfugge l'anomalia del caso italiano nel "giorno dopo". Altri governi di nazioni alleate di fronte alla prima ondata di rivelazioni da WikiLeaks hanno avuto un comportamento uniforme: analizzare il contenuto dei dispacci; capire se celano dei problemi di sostanza nei rapporti con gli Stati Uniti; quindi sdrammatizzare per tentare di tornare al più presto alla normalità. La vera preoccupazione delle altre capitali alleate è quella di mostrare un fronte comune contro WikiLeaks. Così il portavoce dell'Eliseo, François Baroin, non ha reagito alla descrizione di Nicolas Sarkozy ("permaloso e autoritario") bensì ha sottolineato che Francia e Stati Uniti sono d'accordo per contrastare queste fughe di notizie. "Diamo il massimo sostegno all'Amministrazione americana - ha detto Baroin - nei suoi sforzi per evitare ciò che danneggia il lavoro dei suoi funzionari". Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, in risposta ai contenuti di WikiLeaks sul governo Merkel (la "signora Teflon, tenace ma poco creativa") ha detto che "le relazioni tra gli Stati Uniti continueranno ad essere strette e amichevoli". Perfino Putin ("il capo-branco", alla guida di uno "Stato di tipo mafioso" secondo i comunicati della diplomazia Usa), attraverso il suo portavoce ha fatto sapere che "aspetterà di verificare il testo originale, e la traduzione di certe parole o espressioni". Sono reazioni che il Dipartimento di Stato considera prevedibili. Dopotutto è l'Amministrazione degli Stati Uniti la "vittima" di WikiLeaks, è il Dipartimento di Stato ad aver subìto questa intrusione e questa fuga di 250.000 comunicati a carattere confidenziale.
Osservato da Washington spicca perciò il tono singolare di certe reazioni italiane, con il ministro degli Esteri Franco Frattini che dopo aver parlato a caldo di un "11 settembre della diplomazia" (quando ancora non era uscita neppure la prima ondata di rivelazioni) ieri è tornato sull'argomento accusando WikiLeaks di voler "distruggere il mondo". Gli americani si chiedono perché l'Italia sia l'unico paese a sentirsi destabilizzato, almeno dentro l'arco degli alleati e amici. La spiegazione di questa anomalìa la cercano proprio nelle "analisi" della Dibble, e nelle sue fonti.
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