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23 nov 2010

Il Papa: «Omosessualità mai giustificabile»


L’omosessualità è «una grande prova», di fronte alla quale una persona può trovarsi, ma «non per questo diviene moralmente giusta»; inoltre, essa «non è conciliabile con il ministero sacerdotale, perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso».

Dopo le anticipazioni che hanno già fatto molto discutere - in particolare quella in cui il Papa ammette «in singoli casi» l’uso del profilattico (in fondo alla pagina, il link per rileggere la notizia) - altri passaggi del libro-intervista di Benedetto XVI, “Luce del mondo”, scritto col giornalista tedesco Peter Seewald e presentato oggi nella sala stampa del Vaticano, hanno toccato temi scottanti nel rapporto tra la Chiesa cattolica e la società di oggi.

Nel capitolo 14, per esempio, il Papa parla dell’omosessualità come di «una grande prova, così come una persona può dovere sopportare altre prove», e rimarca che «non per questo l’omosessualità diviene moralmente giusta, bensì rimane qualcosa che è contro la natura di quello che Dio ha originariamente voluto». Sottolineando che essa è «inconciliabile» con l’essere sacerdoti, il Papa avverte che «la scelta dei candidati al sacerdozio deve, perciò, essere molto accurata. Bisogna usare molta attenzione, affinché non s’introduca una simile confusione e alla fine il celibato dei preti non venga identificato con la tendenza all’omosessualità».

Non è tutto, perché nel libro, in 18 capitoli e oltre 90 risposte ad altrettante domande, il Pontefice tocca con grande franchezza un’ampia varietà di temi, tra cui in maniera molto ampia lo scandalo della pedofilia, per il quale ammonisce che è il momento di recuperare «il diritto e la necessità della pena», dopo che, a partire dagli anni Sessanta, era emersa la «convinzione» che la Chiesa «non dovesse punire».

Ammette anche i «ritardi» del Vaticano nell’affrontare il caso del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel, «un falso profeta che ha condotto una vita immorale e contorta»: una questione, dice, affrontata «solo con molta lentezza e con grande ritardo», anche perché in qualche modo era «molto ben coperta».

Benedetto XVI esprime grandi speranze per i rapporti con Pechino, in particolare di potere riuscire a vedere durante il suo pontificato la «unificazione» della Chiesa in Cina, e con la Russia ortodossa, rilevando che «matura sempre più il contesto in cui potrà avvenire» l’incontro con il patriarca di Mosca.

Sul caso Williamson ammette che ci sono stati «errori», sostenendo di non avere saputo all’epoca che fosse un negazionista, ma dice di confidare nel fatto che «nell’ebraismo mondiale» «ci sono molte persone che mi conoscono», e per questo, anche nel pieno della crisi innescata dalla revoca della scomunica al vescovo lefebvriano, «un’interruzione del dialogo non andava presa in seria considerazione». Inoltre, dichiara di non aver mai invitato a pregare per la conversione degli ebrei nella liturgia in latino del Venerdì Santo e la sua modifica a quella preghiera ha suscitato giudizi «avventati», che «non rendono giustizia a quanto fatto».

Oltre a ipotizzare le sue dimissioni nel caso non sia più «fisicamente, psicologicamente e spiritualmente» in grado di assolvere ai doveri del suo ufficio, Benedetto XVI lancia anche un avvertimento per tutti: altro che momento simbolico, «vi sarà un autentico giudizio universale».

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