Metti mi piace

5 nov 2010

I signori dell'oro rosso che riciclano il rame rubato

In Italia si moltiplicano i colpi: sono già 727 da gennaio. Il mercato clandestino fattura centinaia di milioni di euro. L'industria impiega il 70% di metallo rottamato. Impossibile risalire all'origine della materia prima. Container illegali anche in Romania, India e Cina


SEMBRA una storia di guardie e ladri. Una storia all'italiana di cui si vede l'inizio e non si scorge la fine. I ladri rubano il rame. Lo rubano ovunque sia possibile. Linee ferroviarie, cantieri, case, fabbriche e perfino cimiteri. Le guardie (polizia, carabinieri, finanza, municipali) inseguono i ladri e talvolta li prendono. Per la maggior parte sono stranieri, prevalentemente dell'est, oppure nomadi. Altre volte, ultimamente sempre più spesso, anche italiani. È una storia di colpi a ripetizione, di refurtiva e inseguimenti notturni attraverso binari e massicciate, strade secondarie e sentieri di campagna. Ma è anche una storia di trafficanti internazionali, borse mondiali e fondi d'investimento. Gli arresti scattano su e giù per la penisola. E tuttavia la razzia non si ferma, tant'è che il 2010 si candida ad anno record per le incursioni sulle linee ferroviarie. A settembre i colpi erano già 727, mentre erano stati 349 nel 2009 e 805 nel 2008. Il rame delle ferrovie è, per qualità e disponibilità, il più ricercato: negli ultimi due anni il danno diretto ammonta a dieci milioni di euro, senza contare le altre conseguenze. Ma da Telecom all'Enel fino alle aziende più piccole, non si salva nessuno.

"Stiamo assistendo a una recrudescenza del fenomeno" spiega Guidalberto Guidi, presidente dell'Anie-Confindustria, l'Associazione dei produttori di lavorati in rame. "Gli episodi si stanno estendendo a macchia d'olio. In particolare nel Triveneto, in Lombardia e nel Mezzogiorno".

ealtà non c'è una sola provincia italiana che possa dirsi immune dal saccheggio. Gli addetti ai lavori lo chiamano "oro rosso". La sua quotazione è di 6 euro al chilo. Il mercato illegale s'intreccia con quello ufficiale. È un mercato florido che non chiude mai. Fattura centinaia di milioni di euro ma ad oggi non c'è nessuno che sia riuscito a stimarne l'effettivo valore. Chi regge i fili? A chi si appoggia la manodopera del saccheggio? E dove vanno a finire le migliaia di tonnellate di rame rubato?

La legge della domanda e dell'offerta
Per rispondere bisogna ripartire dalla piccola manovalanza dei furti a catena. Che è vero, rappresentano il primo tratto della filiera illegale, ma in realtà, come vedremo, ne sono soprattutto la conseguenza finale. Sono il risultato di una legge economica nota a tutti: domanda e offerta. Il mercato sollecita risposte. Che puntualmente arrivano.

Di recente le gang dell'oro rosso hanno colpito alla stazione Ostiense di Roma portandosi via centinaia di trecce di rame. Il traffico ferroviario sulla linea tirrenica è rimasto bloccato per ore. Ma hanno anche spogliato i cimiteri di Erba, di Todi, di Pinerolo e di altre decine di comuni. Hanno depredato impianti sportivi a Monza e a Porto Sant'Elpidio. Hanno sfilato linee telefoniche a Napoli e Matera. E poi canalette, grondaie, cavi e arredi sacri. Pochi giorni fa, a Roma, le agenzie hanno battuto la seguente notizia: "Sorpreso a rubare: arrestato l'Arsenio Lupin del rame". "Quale dei due o trecento che girano nel sottobosco romano?", si chiede ironicamente l'avvocato Carola Gugliotta, esperta di processi in questo particolare "settore". E aggiunge: "Questo è un tipo di reato che viene commesso da una quantità indefinita di soggetti, perché ha un guadagno sicuro. Il rame trafugato qualcuno lo acquisterà".

Il punto sembra essere proprio questo. Chi ruba il rame, anche in grandi quantità, sa esattamente a chi affidarlo. Alex H., una lunga esperienza di furti in giro per l'Italia, spiega: "Il rame si vende meglio dell'oro. In qualsiasi centro di rottamazione te lo prendono. Non ti chiedono documenti, né come te lo sei procurato. In questo periodo lo pagano intorno ai quattro-cinque euro al chilo".

L'operazione di polizia "Oro Rosso", alcuni anni fa, individuò un'azienda di Ardea (Roma) che trattava con decine di piccoli rottamatori (i cosiddetti "sfasci") i quali, a loro volta, erano il terminale di ladri in azione nel Lazio, in Campania e in altre regioni limitrofe. "Intercettazioni telefoniche e monitoraggio costante dei depositi di rottame ci consentirono di ricostruire un pezzo consistente della filiera", ricorda Massimo Bruno, vice questore della Polfer a Roma Termini.

Arresti e sequestri ebbero, almeno nel Lazio, un effetto immediato. Lo stesso è avvenuto più di recente con le operazioni "Always Copper" a Modena, "Cuprum" tra Salerno e Gioia Tauro, e con una lunga indagine a Palermo che nelle settimane scorse ha condotto in carcere 19 persone, sequestrato sette aziende e portato alla luce un traffico milionario. L'Agenzia centrale delle dogane ha svolto una capillare analisi dei flussi in entrata e in uscita dal Paese che potrebbe contribuire a una più incisiva azione di intelligence. Ma per adesso le inchieste di grande impatto si contano sulle dita di una mano. E il saccheggio sta conoscendo una nuova escalation. Che cosa si sta facendo per arginarlo? Come si prevengono le incursioni sulle linee ferroviarie e negli altri servizi pubblici?

Un sistema ferroviario molto sensibile
"Nelle fasce orarie dei pendolari siamo arrivati ad avere anche 90 treni bloccati" rileva Franco Fiumara, responsabile della Protezione delle Ferrovie. "Per il sistema è uno stress fortissimo. Noi interveniamo subito per ripristinare gli impianti e far ripartire la circolazione, ma con 16.500 chilometri di linee da controllare non è mai un'impresa facile. Io ho l'impressione che questo fenomeno sia ancora sottovalutato mentre invece meriterebbe indagini approfondite".

Maggiori indagini e un impegno rafforzato saranno al centro delle richieste che gli industriali del settore, annuncia Guidalberto Guidi, rivolgeranno al ministro dell'Interno Roberto Maroni. Ma, paradossalmente, è proprio dal settore industriale dei metalli che dovrebbero, o potrebbero, arrivare le prime soluzioni. Perché la filiera illegale del rame non si esaurisce certo con le aziende che trattano i rottami. C'è un ultimo, fondamentale, anello. Quello delle fonderie che ricevono il rame e lo lavorano per immetterlo nuovamente sul mercato. Brescia, Bergamo, Milano e altre province del centro-nord emergono dalle inchieste come aree di destinazione finale. Eppure, le inchieste, si sono sempre fermate un po' prima. Perché? Che cosa ha impedito di ricostruire l'intera piramide?

Quei forni "famelici"
"Se il grande esportatore acquista del materiale rubato, è probabile che lo mimetizzi tra le migliaia di altre tonnellate di provenienza legale", spiega Pietro Milone, primo dirigente della Polfer. "Cavi e rottami vengono compressi in enormi balle caricate nei container che partono per la Cina e per l'India".

Sono le fonderie che fanno girare il mercato del rottame. Sono i forni che non possono lavorare a vuoto, le idrovore che mangiano tonnellate di metallo in pochi minuti facendolo risorgere dalle sue ceneri. Romano Pezzotti è uno dei presidenti di Assofermet, l'associazione degli imprenditori che trattano il metallo rottamato: "Il mercato dipende dalle esigenze delle fonderie. Ha un andamento diviso in tre fasi: nell'ultima, quando bisogna raggiungere un certo quantitativo, è chiaro che la fonderia è disposta a pagare di più". Per evitare di perderci con il forno mezzo vuoto. In quell'ultima fase, pare di capire, vale tutto. Pezzotti rappresenta grandi aziende di raccolta del metallo, società che molto raramente finiscono nel mirino della Polfer o della Finanza. Ma per qualcuno, nelle ore convulse della raccolta disperata, la tentazione di rivolgersi anche a chi non offre le stesse garanzie potrebbe essere molto forte. È quel momento l'anello debole della catena, quello che spinge migliaia di disperati a sparpargliarsi lungo la rete ferroviaria italiana, a rischiare la vita per una treccia che può diventare ricchezza. Ne vale la pena? 

Le sentinelle del mercato
In Europa il 41 per cento dei prodotti di rame viene realizzato con la fusione del metallo rottamato. In Italia, paese privo di materie prime, la percentuale è anche superiore: "Potrebbe sfiorare il 70 per cento", garantisce Roberto Guardafigo, titolare della Cometfer di San Stino di Livenza, nel profondo Nordest, a metà strada tra Treviso e Venezia. L'azienda di Guardafigo sta nella parte alta della piramide del riciclaggio del rottame, ben al di sopra, per dimensione, di quella zona grigia dove gli autori dei furti fanno i loro affari. Così anche le grandi aziende sono a rischio: "Abbiamo dovuto sistemare questa grande sbarra di acciaio davanti al cancello di ferro", spiega l'imprenditore veneto appoggiandosi a una robusta trave che si sposta a semicerchio su un carrello. Il rischio è che "di notte vengano i ladri a rubare i camion carichi di rame e provino a sfondare l'uscita". Chi muove i ladri? Guidalberto Guidi sorride e risponde con un filo di sarcasmo: "Vuole che le faccia una confessione? Noi produttori, i ladri li usiamo come sentinelle del mercato. Nel senso che quando cominciano a salire i furti, siamo sicuri che poco tempo dopo salirà il prezzo". Difficile immaginare che le centinaia di Giovanni, Pasquale e Adrian che arraffano pezzi di rame in Italia siano più esperti degli analisti della London metal exchange. "Il fatto è - spiega Guidi - che le oscillazioni del prezzo del rame dipendono solo in minima parte dalla legge della domanda e dell'offerta". Da che cosa dipendono allora? "Dalla speculazione". Eccolo il paradosso del rame: se un fondo di investimento di pensionati dello Iowa decide di speculare per dieci giorni sul metallo rosso, è probabile che Giovanni, Pasquale e Adrian si mettano a tagliar trecce lungo le ferrovie italiane e che dunque migliaia di pendolari rimangano bloccati in piena campagna. Chi è il regista di questo film dell'assurdo?

Forse non c'è. Per quanto, in alcune situazioni, è difficile credere che la grande criminalità rimanga alla finestra. Racconta Guidi: "Anni fa a Caserta un gruppo di una decina di uomini mascherati ha fatto irruzione di notte in una fabbrica che produce cavi e altro materiale. Ha spianato i fucili sugli operai e ha rubato tre camion carichi di materiale. Un furto da un milione e mezzo di euro". Forse quello di Caserta è solo un episodio: "Non pensiamo che la criminalità organizzata si occupi di questi traffici", dice Pietro Milone che dal maggio 2006 guida la task force della Polfer contro i furti. Il fatto è che rubare il rame non è difficile e, tutto sommato, è poco rischioso. È un'attività criminale talmente diffusa che è difficile da controllare. La domanda di mercato è spesso molto forte. La crisi del 2009 ha fermato solo per poco le bande dei tagliatori di trecce. I dati parlano chiaro: gli aumenti a due cifre dei pil di Cina e India divorano il metallo con voracità. La Cindia consuma da sola il 51 per cento della produzione mondiale, cioè tutto quel che si scava in un anno nelle miniere di Cile e Perù. La fame di rame morde le economie mondiali. Appena si avvertono i primi segnali di ripresa, anche nelle miniere meno sicure torna la dinamite. Con le conseguenze che si sono viste in quella cilena di San José dove, per due mesi, 33 minatori hanno rischiato la vita. Come far fronte alla domanda?

Traffici internazionali
Se le miniere non bastano, il rottame diventa decisivo. "Con la fusione - spiega Guardafigo - si recupera tra il 95 e il 100 per cento del rame". Praticamente torna come nuovo, non c'è più differenza tra quello che arriva dalle miniere sudamericane e quello che esce dalle fonderie bresciane, alimentate con i camion del rottame. Al punto che qualcuno tra gli inquirenti sta lavorando a un'ipotesi inquietante: alcune fonderie delocalizzate dalle società italiane nei paesi dell'Est potrebbero fare da copertura a un gigantesco traffico internazionale di rottame rubato. Un viaggio di andata e ritorno, in alcuni casi reale e in altri fittizio, a cavallo di quella che un tempo era la cortina di ferro. Tanto, alla fine del percorso, tutto finisce nel forno e il forno funziona come una grande lavatrice: cancella il peccato originale di chi ha raccolto in modo illegale. Questa facilità di trasformazione unita all'aumento continuo della domanda e alla speculazione sui metalli spiega l'incremento dei furti di questi mesi. Che suona come un campanello d'allarme e una mezza sconfitta per chi, come Milone, era riuscito a limitare il fenomeno nel 2009: "Ci eravamo riusciti - spiega il dirigente della Polfer - grazie alla collaborazione con gli industriali di Assofermet. E, devo dire, ci eravamo illusi che il fenomeno non tornasse a crescere. Ma non appena i prezzi si sono rimessi a correre, tutto è tornato come prima. Mi sto chiedendo se non ci dobbiamo abituare a considerare fisiologica una certa quota di furti". Un segno di resa? No, certamente. Ma la dimostrazione che non bisogna mai sottovalutare la forza delle bande delle trecce rosse.

Nessun commento: