Curriculum? 84 anni, 7 milioni di copie al mese (il record di un magazine che rivoluzionò i costumi, sessuali e non), 2 mogli, 4 figli, più di 2.000 amanti. Potrebbe bastare così. E invece no. L’uomo più invidiato dai maschi di mezzo mondo è stato pure un paladino dei diritti civili. Come racconta in questo incontro americano
«È una stupidaggine sostenere che “Playboy” trasformi le ragazze in oggetti del sesso», continua sorridendo. «Le donne ovviamente sono sensuali e sessuali, se non lo fossero il genere umano non si sarebbe mai moltiplicato. È l’attrazione fra i sessi che fa girare il mondo. Ed è anche per questo che le donne mettono il rossetto o le minigonne». Nato a Chicago nel 1926, Hugh Marston Hefner viene da una famiglia di educatori metodisti («Non c’erano molti abbracci ed effusioni nella mia famiglia», rimarca giustificando così la sua attrazione per le donne accoglienti e con seni prosperosi). Hef si laurea in psicologia in Illinois nel 1949, si iscrive a un master alla Northwestern University, che lascia quasi subito per sposarsi con Mildred Williams. Il matrimonio dura dieci anni e porta due figli: una bimba, Christie (che diventerà presidente della Playboy Enterprises) e un maschio, David (di cui si sa molto poco, eccetto il fatto che lavora nel computer programming e che è gay). Mildred un giorno gli confessa un’infedeltà “consumata” mentre lui era nell’esercito (una breve parentesi). E i due decidono di sperimentare la coppia aperta. Nel ’53 Hef lascia la rivista “Esquire”, dove lavora come redattore, per provare a fondare un magazine dedicato al pubblico maschile. «Agli inizi doveva chiamarsi “Stag Party” (“Addio al celibato”, ndr), ma poi pensai che “Playboy” fosse un nome più divertente, soprattutto se abbinato al coniglietto-mascotte, presto diventato il simbolo della rivista». Per poter comprare le foto del primo calendario nudo di una semisconosciuta biondona (udite, udite: era Marilyn Monroe!) e metterle nel “centerfold”, il paginone centrale, Hef si fa prestare soldi da amici e genitori («Mia madre non approvava il contenuto della rivista, ma approvava invece moltissimo che suo figlio volesse farsi strada nel mondo dell’editoria»).
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