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28 nov 2010

Condannati al carcere i fondatori di "Pirate Bay"

sultano i rappresentanti dell'industria discografica, ma i quattro si appellano alla Corte Suprema: «Con questa sentenza vogliono solo spaventare la gente»

Nessun colpo di scena al processo di appello per Peter Sunde, Fredrik Neij and Carl Lundström, fondatori del noto sito svedese di file sharing “The Pirate Bay”. La Corte ha ritenuto che il sito “abbia facilitato il file sharing illegale in maniera tale da rendere punibili i gestori del servizio”.

Sono state perciò confermate le condanne di primo grado, anche rispetto alla precedente sentenza sono state diminuite le pene detentive – quella più lunga, dieci mesi, è toccata a Neij, mentre Sunde e Lundström dovranno scontare rispettivamente otto e quattro mesi – mentre è stato invece aumentato l’ammontare del risarcimento dovuto alle major dell’audiovisivo, che è di quasi 5 milioni di euro, da dividere in tre.

Mancava un quarto “pirata”, Gottfrid Svartholm, che non si è potuto presentare in aula a causa delle sue cattive condizioni di salute: il suo caso verrà discusso più avanti. «Non preoccupatevi, faremo ricorso alla Corte Suprema – ha annunciato, con un messaggio su Twitter, Sunde, che ha aggiunto - ci condannano alla prigione anche se non è la pena prevista per questo tipo di crimine. È soltanto per spaventare la gente».

Anche il leader del Partito Pirata, Rick Falkvinge, ha parlato di “processo politico”. «È oltremodo triste che le corti continuino a amministrate una giustizia che tiene conto di interessi particolari – ha dichiarato – la gente non ha più alcuna fiducia nel sistema giudiziario in queste materie». È indubbio, però, che il clima, anche politico attorno ai “pirati” è cambiato, rispetto anche solo a un anno fa.

Nelle elezioni dello scorso settembre, il Partito Pirata ha subito un crollo verticale, dal 7 % delle elezioni europee dello scorso anno, all’1,4 delle politiche, senza riuscire a superare lo sbarramento del 4 % e a portare almeno un rappresentante al Riksdag. Lo stesso processo di appello a Pirate Bay si è svolto un po’ in sordina e non ha avuto lo stesso richiamo mediatico di quello di primo grado.

Tutto ciò naturalmente, per la gioia dei rappresentanti dell’industria discografica internazionale: «E' un sollievo che la corte di appello abbia stabilito che portando avanti questo tipo di attività si venga spediti in prigione – ha commentato un avvocato che cura i diritti dell’industria cinematografica, Monique Wadsted».

Le major non sono però finora riuscite ad ottenere la chiusura del sito: The Pirate Bay è tutt’ora funzionante e la sua attività è portata avanti dalla società Reservella, con sede alle Seychelles. Secondo Frances More, presidente dell’associazione Ifpi, che rappresenta gli interessi dell’industria discografica a livello mondiale, «è ora tempo che Pirate Bay chiuda. Ci rivolgiamo ai governi e ai provider affinché prendano atto del verdetto e facciamo i passi necessari per oscurare il sito».

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