«Però si può arginare creando un sistema giudiziario forte. L'etica? La convenienza viene prima»
Il fermo immagine tratto da YouTube mostra l'interno del circolo Arci Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano (Milano). Cena a base di pastasciutta, 'nduja, olive calabresi, stuzzichini e frutta per uno dei vertici degli esponenti della 'ndrangheta (Ansa)
MILANO - È rimasto in un angolo della conferenza stampa. E non ha aperto bocca per due ore. L'operazione «il crimine» che martedì ha portato all'arresto di 305 persone legate alla 'ndrangheta è stato un successo importante dello Stato (attraverso l'attività di inquirenti e forze dell'ordine) che ricorda quello del lontano 1983 nella notte di San Valentino. Nicola Gratteri, da sempre magistrato protagonista della lotta alla 'ndrangheta, aveva un'espressione soddisfatta ma certamente non quella di chi canta vittoria. Gratteri è di Gerace, conosce la Locride meglio di chiunque altro. Vive sotto scorta dall'aprile del 1989, attualmente è Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria.
Un duro colpo alla criminalità organizzata. Adesso a che punto è la lotta alla 'ndrangheta?
«A che punto è? Per esperienza le dico che entro due-tre mesi si riuniranno e nomineranno altri capi in sostituzione di quelli arrestati».
Il pm Boccassini ha parlato di 500 uomini della 'ndrangheta «affiliati» in Lombardia (guarda il video), dove in due anni vi sono stati ben 40 summit. Quindici locali di 'ndrangheta a Cormano, Pioltello, Corsico, Seregno, Milano, ecc... Qualche mese fa ci fu un'aspra polemica a Milano per le parole del prefetto Lombardi, che davanti alla Commissione antimafia disse che «a Milano la mafia non esiste».
Un'uscita un po' infelice, parole forse travisate.
«Guardi, dell'argomento parlano un po' tutti, anche chi non conosce il fenomeno. La 'ndrangheta non esiste a Milano? Allora le dico che la 'ndrangheta ha un locale persino in Africa. Da almeno dieci anni sappiamo dello sviluppo nel capoluogo lombardo».
La mafia, diceva Falcone, «è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio... e una fine». Quando la vedremo questa fine?
«La mafia finirà quando finirà l'uomo sulla Terra. La 'ndrangheta in particolare si può arginare anche dell'80 per cento se si ha il coraggio, la volontà e la libertà di creare un sistema giudiziario forte sempre nel rispetto della Costituzione».
Cioè?
«Cioè bisogna avere il coraggio di cambiare il codice penale, il codice di procedura penale e l'ordinamento penitenziario in modo tale che non sia più conveniente essere 'ndranghetisti. Quindi bisogna combattere la mafia non solo dal punto di vista militare ma dal punto di vista sociale e culturale ma parlando di convenienza economica, non di etica».
E l'etica la mettiamo da parte?
«Soprattutto ai giovani non si può parlare né di morale né di etica. Per cominciare ai giovani bisogna a parlare in termini di "convenienza". In modo tale da essere credibili subito, un impatto nell'immediato. Solo dopo questa fase si può parlare di etica e di morale. Solo dopo aver conquistato la loro fiducia».
Sembrano parole disincantate, stonano un po' sulla bocca di chi combatte la mafia, scrive libri sul fenomeno e gira per i licei. In realtà sono le parole di colui che conosce meglio di tanti altri le distorsioni del sistema penale-investigativo-penitenziario che permettono alle tre grandi mafie italiane di prosperare. Parole di chi martedì se n'è rimasto in un angolo ma che già pensava come arginare le «convenienze» dei nuovi capi.
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