In poche ore Milano si sta giocando il suo futuro. Che, come in una riedizione del boom duro e fanciullesco degli anni Cinquanta e dei vitali ma corrotti anni Ottanta, passa ancora una volta per i mattoni e per il cemento. E non è una partita semplice: perché gli interessi materiali sono tanti e gli equilibri di potere trasfondono dalla dimensione imprenditoriale a quella politica, creando un impasto non facile da distinguere, al di là del grigio colore naturale.
I soldi
Gli enti locali, in particolare la Regione Lombardia, da tempo vogliono comprare dalla Fondazione Fiera e dai Cabassi, famiglia cattolica vicina al Cardinal Martini e con propaggini fra i focolarini, i terreni su cui si svolgerà l'Expo. E hanno incominciato a discuterne ieri: accanto alla proposta, sostenuta da Formigoni di costituire una newco per acquistare i terreni, ha ripreso quota l'idea del comodato d'uso a un prezzo simbolico del solo diritto di superficie, sponsorizzata dal Comune. Oggi si ricomincia a trattare.
Ieri, invece, il consiglio comunale ha continuato a discutere a oltranza gli emendamenti al testo del Pgt, il piano di governo del territorio: in ballo non ci sono soltanto gli interventi pubblici, ma anche lo sviluppo di Milano, o meglio dell'area metropolitana, che potrebbe verificarsi sia verso il Parco Sud sia, con la perequazione, aumentando le volumetrie realizzabili nelle aree centrali.
Le infastrutture all'interno della cinta daziaria, i cantieri privati che fra stop and go continuano a procedere, l'ultima chiamata per l'Expo. Sotto il profilo teorico, senza fallimenti, ritardi e esplosione della bolla immobiliare, queste tre direttrici di sviluppo avrebbero avuto un valore pari alla manovra salvaconti imbastita da Silvio Berlusconi e da Giulio Tremonti: 24 miliardi di euro. Quattordici miliardi il Pgt. Sette i cantieri privati. Almeno tre il sito dell'Expo e delle opere di connessione dirette. La cifra non sarà quella, ma certo per la Milano e per l'Italia di oggi resta una somma rilevante. Un piatto irripetibile.
L'amichevole duopolio
A parlare con loro di cartello Cdo-Coop, gli imprenditori della galassia ciellina e i cooperatori rossi si innervosiscono. In realtà, però, da almeno vent'anni le cose funzionano così: il pivot sui grandi business è Roberto Formigoni, che con la sua politica neocentrista e con i suoi apparati burocratico-manageriali ha creato le condizioni per le grandi opere regionali, coinvolgendo quelle coop rosse che in altri passaggi, non ultimo quello del sindaco Gabriele Albertini, erano state tagliate fuori. Coop rosse che, a loro volta, coinvolgono piccole e medie imprese che in qualche maniera sono ricollegabili al movimento di Don Giussani e alla Compagnia delle Opere.
I soldi
Gli enti locali, in particolare la Regione Lombardia, da tempo vogliono comprare dalla Fondazione Fiera e dai Cabassi, famiglia cattolica vicina al Cardinal Martini e con propaggini fra i focolarini, i terreni su cui si svolgerà l'Expo. E hanno incominciato a discuterne ieri: accanto alla proposta, sostenuta da Formigoni di costituire una newco per acquistare i terreni, ha ripreso quota l'idea del comodato d'uso a un prezzo simbolico del solo diritto di superficie, sponsorizzata dal Comune. Oggi si ricomincia a trattare.
Ieri, invece, il consiglio comunale ha continuato a discutere a oltranza gli emendamenti al testo del Pgt, il piano di governo del territorio: in ballo non ci sono soltanto gli interventi pubblici, ma anche lo sviluppo di Milano, o meglio dell'area metropolitana, che potrebbe verificarsi sia verso il Parco Sud sia, con la perequazione, aumentando le volumetrie realizzabili nelle aree centrali.
Le infastrutture all'interno della cinta daziaria, i cantieri privati che fra stop and go continuano a procedere, l'ultima chiamata per l'Expo. Sotto il profilo teorico, senza fallimenti, ritardi e esplosione della bolla immobiliare, queste tre direttrici di sviluppo avrebbero avuto un valore pari alla manovra salvaconti imbastita da Silvio Berlusconi e da Giulio Tremonti: 24 miliardi di euro. Quattordici miliardi il Pgt. Sette i cantieri privati. Almeno tre il sito dell'Expo e delle opere di connessione dirette. La cifra non sarà quella, ma certo per la Milano e per l'Italia di oggi resta una somma rilevante. Un piatto irripetibile.
L'amichevole duopolio
A parlare con loro di cartello Cdo-Coop, gli imprenditori della galassia ciellina e i cooperatori rossi si innervosiscono. In realtà, però, da almeno vent'anni le cose funzionano così: il pivot sui grandi business è Roberto Formigoni, che con la sua politica neocentrista e con i suoi apparati burocratico-manageriali ha creato le condizioni per le grandi opere regionali, coinvolgendo quelle coop rosse che in altri passaggi, non ultimo quello del sindaco Gabriele Albertini, erano state tagliate fuori. Coop rosse che, a loro volta, coinvolgono piccole e medie imprese che in qualche maniera sono ricollegabili al movimento di Don Giussani e alla Compagnia delle Opere.
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