«La posta elettronica non comporta un'intrusione diretta nella sfera delle attività del destinatario»
ROMA - Il computer non porta pena. O meglio: la molestia via e-mail non è un reato. Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha annullato senza rinvio, «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», la condanna al pagamento di un'ammenda di 200 euro inflitta a un 41enne dal tribunale di Cassino: l'imputato era stato accusato di molestie per aver inviato con la posta elettronica a una donna un messaggio contenente «apprezzamenti gravemente lesivi della dignità e dell'integrità personale e professionale» del convivente della destinataria.
NON EQUIVALE AL TELEFONO - La Suprema Corte (prima sezione penale, sentenza n.24510) non ha condiviso le conclusioni del giudice del merito, secondo il quale l'articolo 660 del codice penale, relativo al reato di molestie o disturbo alle persone, «con la dizione "telefono" comprende gli altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza». Per gli "ermellini", la posta elettronica «utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, nè costituisce applicazione della telefonia, che consiste, invece, nella teletrasmissione in modalità sincrona, di voci o di suoni». La modalità della comunicazione via mail, si osserva nella sentenza, è invece «asincrona» e «l'invio di un messaggio di posta elettronica, esattamente proprio come una lettera spedita tramite il servizio postale, non comporta, a differenza della telefonata, nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, nè veruna intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo».
Il caso del telefono è ben diverso da quello delle e-mail, poiché, secondo gli alti giudici, «il mezzo telefonico assume rilievo proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita». Stesso discorso del telefono, va fatto per gli sms, dato che, ricorda la Cassazione, il destinatario «è costretto a percepirli» prima di poterne individuare il mittente». Perciò, conclude la Corte, »la avvertita esigenza di espandere la tutela del bene protetto della tranquillità della persona incontra il limite coessenziale della legge penale, costituito dal principio di stretta legalità e di tipizzazione delle condotte illecite«, sancito anche dalla Costituzione.
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