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30 gen 2017

Evitare la Brexit (forse) si può: il piano dei “remainers” passa per il Parlamento



“Non è finita finché non è finita”: sono in tanti quelli che nel Regno Unito non si arrendono alla chiara evidenza dei fatti e non riescono a darsi pace del fatto che la Gran Bretagna non faccia più, almeno in via teorica, parte dell’Unione Europea.
E così, i ‘Remainers’ fissati con l’Europa e convinti che la Brexit sia solo un brutto sogno dal quale non vedono l’ora di svegliarsi, passano il loro tempo a fare campagna per cancellare il risultato del referendum dello scorso giugno e a chiedere un secondo voto che annulli o almeno mitighi l’effetto del primo riportando, di fatto, indietro le lancette.
03/09/2016 Londra, attivisti pro UE protestano contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. RetnaPhotoshot/AGF
Sono gruppi di cittadini, studenti, pensionati, accademici, dal nome chiaro come Britain for Europe  o Euromovement,  e sono fatti da volontari che, nel tempo libero infilano fatti e statistiche a sostegno della loro tesi per cui la Gran Bretagna, senza Europa, oggi non ha né senso né speranza. E soprattutto, che c’è ancora tutto il tempo per evitare che succeda davvero.
“La Brexit si può fermare e forse cancellare, basta volerlo”. A dirlo è Anne Weyman, distinta signora britannica in pensione che beve the e si lascia intervistare con l’esatto aspetto con cui immaginate una distinta signora britannica in pensione che beve the. Oggi è responsabile di uno dei più corposi gruppi locali (ce ne sono una sessantina in tutto il paese) che insistono per il remain, o meglio, per il ‘not leaving’.
Foto di Sean Gallup/Getty Images
Il  gruppo per cui lavora Anne, si chiama Islington in EU e prende il nome da uno dei quartieri più ‘rossi’ di Londra, quello, per intenderci dove ha abitato per anni Tony Blair e quello dove ancora abita e ha sempre avuto il suo seggio Jeremy Corbyn. Qui il Remain ha vinto con il 76%: “Noi – dice Anne – siamo Europei. E vogliamo restarlo”. Restare in Europa, per ora, ha due strade, esattamente come la Brexit, una “hard”, dura e senza compromessi, e una “soft”, più dialogante.
Quella hard, ad oggi, la più vicina, almeno temporalmente, passa per il Parlamento, che, per decisione della Corte Suprema di Londra, dovrà ratificare l’invocazione dell’articolo 50 del trattato di Lisbona e, di fatto, avviare l’uscita dall’Ue.
“Il voto in parlamento – spiega ancora l’attivista – potrebbe darci grandi sorprese. Questo Parlamento è per grandissima parte europeista: lo sono i laburisti, lo sono i conservatori, tra cui la stessa Teresa May che a suo tempo ha fatto campagna per il Remain, lo sono in buona parte i liberal democratici. L’unico gruppo palesemente pro-Brexit è quello dell’Ukip, ma conta un solo parlamentare”.
Un paradosso, quello inglese, per cui un partito che raccoglie enorme consenso (12% alle elezioni politiche, e di fatto destinatario indiretto del voto per il Leave) ha un solo parlamentare, che si spiega con il sistema elettorale inglese: un maggioritario uninominale secco senza nessuna mitigazione in senso proporzionale che assegna il seggio a chi lo vince, fors’anche solo di un voto.
Il primo ministro britannico Theresa May. Justin Tallis/AFP/Getty Images
Così, per quanto lontano dal volere degli elettori possa sembrare, il Parlamento di oggi, quello che la Corte ha chiamato a esprimersi sull’invocazione dell’articolo 50 del trattato di Lisbona, è fortemente Europeista. “Ma non è la sola strada – se il Parlamento dovesse decidere che comunque la volontà espressa dal referendum, seppure da una maggioranza minima, 52% a 48%, è predominante rispetto alla loro volontà personale e a quella del partito che rappresentano, allora rimane un’altra carta: convocare un altro referendum”.
L’ipotesi di un secondo referendum (di cui nelle scorse settimane avevano parlato anche Tony Blair e John Major e che, secondo i sondaggi sarebbe ben vista dal 26% degli elettori)  è quella di un quesito che chieda quale Brexit si vuole.
“Potremmo chiedere se si vuole l’uscita dall’Ue con un trattato che ci svincoli dagli impegni comunitari, che fermi il mercato unico e che impedisca la libera circolazione delle persone. Oppure una Brexit che mantenga tutto questo e che rinegozi solo alcuni punti, come aveva fatto David Cameron, ma che di fatto, annulli l’uscita. Può sembrare un raggiro – continua l’europeista – ma non lo è. Lo era quello di giugno: allora le persone sono state chiamate a votare senza sapere che cosa sarebbe successo, non c’era un piano, non c’erano previsioni, non c’era niente. Noi ora vogliamo che ci siano due piani su cui votare. E se si vota sulla base di piani e fatti, e non di vuoti slogan, vedrete, i risultati saranno diversi”.

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