Nuovo faccia a faccia ieri mattina. "Dimettiti da senatore. Il Cavaliere offre
la "testa" di Verdini e Santanché e i due guidano la rivolta dei cento
"lealisti"
di CARMELO LOPAPA
Dura due ore il faccia a faccia mattutino, l'ennesimo, che a sorpresa
si consuma nella residenza dell'ex premier, nel day after della
disfatta berlusconiana. Nel salotto dello studio al primo piano,
ancora una volta Alfano. Il capo riconosce: "Ho commesso degli errori,
mi sono fidato di persone sbagliate, vi offro la testa di Verdini e
Santanché, ma adesso cerchiamo di restare uniti, voi siete ministri
del Pdl e io ho dato fiducia a questo governo". Ammette di essere
"molto stanco", travolto dagli eventi, tanto più alla vigilia del voto
di giunta di oggi e della decadenza imminente. "Angelino, il partito
deve restare unito e poi lo sai, sei il segretario, sei destinato a
guidarlo tu". Discussione filata via molto sul filo degli affetti tra
i due. Appare il segnale della resa, della ritirata dell'anziano
leader.
Al suo cospetto, il vicepremier non arretra, conferma la linea della
fermezza, ma assicura a Berlusconi che loro non hanno alcuna
intenzione di dar vita a gruppi autonomi "se non ce ne saranno
motivi". E aggiunge: "Io ti suggerirei di dimetterti, di lasciare il
Senato prima del voto di giunta (di oggi, ndr), sarebbe un segnale di
distensione". Ipotesi, questa, che Berlusconi però scarta subito.
Alfano dopo la vittoria di mercoledì in aula opta per la strategia
dell'attesa, prevalsa del resto nel vertice della notte precedente tra
i "diversamente berlusconiani" Quagliariello, Lupi, Cicchitto,
Castiglione, Formigoni e altri. "Nuovi gruppi? Tutta da vedere"
sostiene non a caso un Cicchitto di colpo più cauto. Non forzare la
mano, dunque, non uscire per ora dal Pdl per dar vita a un gruppetto
di 25 alla Camera e al Senato in stile Fli, attendere le prossime due
settimane e gli sviluppi della decadenza del Cavaliere, l'inizio della
pena restrittiva che ne depotenzierà comunque la leadership. I
governativi decidono insomma di sedere in riva al fiume e attendere.
Il punto sul quale tutti sono ormai d'accordo, come va ripetendo
Castiglione, è che "Forza Italia a noi non interessa più, sarebbe un
dannoso ritorno al passato, dobbiamo pensare al Ppe". E puntare a
conquistare il partito nella sua interezza, intanto, cariche direttive
comprese. A quel punto la decisione dei ministri di indire per
mezzogiorno una conferenza stampa per confermare di voler restare nel
partito e di Berlusconi di convocare per le 13 il gruppo per predicare
appunto unità e compattezza.
L'elemento nuovo è che Berlusconi ad Alfano avrebbe confidato di
sentirsi appunto stanco, pronto quasi a eclissarsi quando tra qualche
giorno per lui scatteranno i servizi sociali da scontare e la
decadenza. Il testimone anche di Forza Italia passerebbe a lui. Forse
è lo sfogo del momento, forse un tentativo di ammansirlo. Sta di fatto
che la notizia fa subito il giro dei palazzi. A Montecitorio e Palazzo
Madama è subito panico tra i "veramente berlusconiani". I fedelissimi
si chiamano a raccolta alla spicciolata, è il primo pomeriggio. Dopo
il tam tam telefonico si ritrovano tutti nella nuova sede di Forza
Italia a San Lorenzo in Lucina. Non solo Verdini e Santanché, in
allarme per la notizia delle "teste offerte" dal capo ad Angelino. Ma
anche Bondi e Capezzone, Gelmini e Carfagna, Fitto e Prestigiacomo,
Malan e Biancofiore, Polverini e Saverio Romano, una cinquantina. "Non
possiamo finire nel partito di Alfano, diamo vita subito a Forza
Italia sotto la guida di Berlusconi" è il mantra che ripetono tutti.
Vogliono contarsi, dimostrare di essere loro la maggioranza del
partito, dopo che in giornata Formigoni aveva detto che gli alfaniani
erano già diventati settanta. Ed ecco spuntare cento firme che i
"lealisti" in serata portano a Berlusconi a Palazzo Grazioli.
Discutono di un ipotetico segretario da contrapporre o al più da
affiancare al "traditore" Alfano. Si parla di Fitto per quella carica.
Invocano un rimpasto di governo dato che al momento non esprimono più
ministri. Vogliono avere ancora il controllo del Pdl. Soprattutto
chiedono al capo di non cedere il testimone al vicepremier. Lui li
rassicura ma non fino in fondo. Non si dimetterà da senatore, come nel
pomeriggio aveva confermato ai senatori Pdl incontrati negli uffici
del gruppo a Palazzo Madama alla vigilia della giunta. Riunione assai
tesa, sono scintille col capogruppo Schifani che due giorni fa si è
rifiutato di pronunciare il discorso sulla sfiducia. Il partito resta
dentro un frullatore.
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