CASO GENERALI: IL COLLOQUIO
Geronzi: «La verità è che la compagnia è eterodiretta»
La sconfitta di Cesare Geronzi segna una data storica, diremmo epocale se l'aggettivo non fosse abusato, nelle vicende del malcerto capitalismo di relazioni di questo Paese. Il presidente uscente delle Generali è uomo di grande cortesia e al telefono a tarda sera dissimula tutta la delusione per l'andamento del consiglio che l'ha sfiduciato.
Non sembra esserci traccia nel suo umore delle lunghe e drammatiche ore trascorse in quella piazza Venezia, così carica di suggestioni storiche, che nel suo disegno doveva diventare il quartier generale di una multinazionale di sistema. Disegno detestato e osteggiato dal management, da molti consiglieri, e infine dall'azionista Mediobanca e considerato da molti il modo per difendersi, passando da una banca a una assicurazione con requisiti di onorabilità più laschi, da una possibile condanna penale nel caso Cirio (otto anni richiesti).
Cesare Geronzi lascia la sede di Generali (LaPresse/Carconi) |
Geronzi ricorda, dando la sensazione di essersi liberato di un peso ormai insopportabile,le decisioni della sua pur breve esperienza di assicuratore. In particolare: il comitato di valutazione degli investimenti e quei momenti, contestati, di controllo della gestione, attuati in seguito alle lettere o alle richieste delle autorità di vigilanza, l'Isvap e la Consob. E alla fine, commenta: la verità è che la compagnia è eterodiretta. L'accusa non è lieve. Tutto finito? «No, non è ancora stato scritto il capitolo finale». L'«arzillo vecchietto», definizione usata in pubblico dal suo rivale, ieri vincitore, Diego Della Valle, non sembra rassegnarsi alla pensione. Non parla dei suoi molti nemici, ex alleati, si limita a dire, con una punta di perfidia, che il nuovo che avanza è formato da una «gioventù anziana», dalla quale non c'è da aspettarsi granché. Chi vivrà vedrà.
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