Condannato per la bancarotta del Bagaglino, invischiato nel crack della Cirio, per il quale la Procura di Roma ne ha chiesto di recente la condanna, pesantemente coinvolto nel crack della Parmalat con gravi imputazioni e a a causa di ciò sospeso per due mesi da ogni carica sociale dal Tribunale del riesame di Bologna, Geronzi era sempre passato indenne dalle maglie della giustizia. Era rimasto fino all'ultimo sulla plancia di comando di Capitalia prima che questa fosse incorporata in UniCredit e da lì era passato alla presidenza di Mediobanca per poi approdare a quella del Leone alato. Un'ascesa irresistibile, cominciata in Banca d'Italia, all'Unione italiana cambi, all'ombra del governatore Guido Carli, e proseguita negli anni '90 al vertice di Banca di Roma, dove era riuscito a tessere una rete di relazioni chiave con i principali partiti, di destra e di sinistra, e a creare un asse privilegiato con il futuro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi negli anni della crisi finanziaria di Fininvest, del suo salvataggio e della quotazione in Borsa dell'odierna Mediaset.
E' Rinaldo Ossola a far compiere il grande balzo a Geronzi. Direttore generale di Banca d'Italia durante il govenatorato di Paolo Baffi, Ossola diventa nel 1976 ministro del Commercio estero del governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti e nel 1980 approda alla presidenza del Banco di Napoli, che in quel momento è uno dei principali istituti di diritto pubblico italiani. Sarà quella la prima palestra di Geronzi come manager bancario. Ossola lo porta infatti con sé nel ruolo di vicedirettore generale. Geronzi nella città partenopea resta due anni e nell'ottobre 1982 ritorna trionfante nella capitale come direttore generale della Cassa di rispamio di Roma. Ed è proprio la banca della borghesia "nera" vaticana a fare da trampolino di lancio alla sua carriera di banchiere.
Nei primi anni '90 Geronzi è nel cuore della finanza cattolica vaticana con la carica di direttore generale della Cassa di Risparmio di Roma, istituto di credito vicino alla Santa Sede, che annovera tra i propri clienti costruttori e immobiliaristi romani e il cui presidente, Pellegrino Capaldo, ha fatto parte della commissione italo-vaticana per i problemi connessi al crack dell'Ambrosiano di Calvi.
La Cassa di risparmio di Roma gravita nell'area politica di Giulio Andreotti. Ed è proprio all'insegna dell'andreottismo che Geronzi e Capaldo danno vita a un nuovo istituto: Banca di Roma. La nuova banca nasce nel 1992, nella fase finale del Caf (così definiscono i giornali l'alleanza politica tra Craxi, Andreotti e Forlani, che segna il culmine della collaborazione tra Psi e Dc), al termine di una serie di operazioni che vedranno confluire sotto un'unica bandiera Cassa di Roma, Banco di Santo Spirito e Banco di Roma. Geronzi in questa fase sta dietro le quinte. Protagonista principale della prima grande fusione creditizia degli anni '90 è Capaldo. Dapprima Cassa di Roma rileva dall'Iri il Banco di Santo Spirito, l'istituto cattolico creato nel '600 da papa Paolo V e concentrato soprattutto nel Lazio, Poi, con un'ulteriore mossa a sorpresa, acquista dallo stesso Iri la maggioranza del Banco di Roma, che con Comit e Credit è una delle tre banche d'interesse nazionale e partecipa al capitale di Mediobanca. A spianare la strada all'aggregazione è il capo del Governo, Andreotti, che nel 1989 ha nominato alla presidenza dell'Iri uno dei suoi uomini più fidati, Franco Nobili, il quale è stato per anni alla guida della Cogefar.
L'operazione è importante anche per un altro motivo: rappresenta il banco di prova della legge Amato-Carli sulle fondazioni bancarie, legge che prevede lo scorporo dell'impresa bancaria dalla fondazione che la possiede (nel caso in questione, l'Ente Cassa di risparmio di Roma), la contestuale trasformazione della banca in società per azioni e il suo successivo collocamento sul mercato da parte della stessa fondazione. Banca di Roma diventa così uno dei più grandi istituti italiani, leader nel Lazio grazie alle partecipazioni e alla rete di alleanze con le altre Casse della regione e con una quota di mercato per mezzi amministrati del 6% a livello nazionale. Essa è però un colosso dai piedi d'argilla, con una massa elevata di crediti inesigibili e scarsa redditività. Tra i suoi clienti figurano il "re" delle acque minerali Giuseppe Ciarrapico, andreottiano doc, lo stampatore Vittorio Farina, vicino all'ex esponente della loggia segreta P2 Luigi Bisignani, il produttore cinetelevisivo Vittorio Cecchi Gori, vicino al partito popolare, e il re delle cliniche private Giampaolo Angelucci, che diventerà anche editore di "Libero" e "Il Riformista" e siederà nell'azionariato di Rcs.
Geronzi ha un problema enome. Nel dna di Banca di Roma c'è una massa di crediti inesigibili che mette a repentaglio l'equilibrio patrimoniale dell'istituto e ne comprime la redditività.L'elevato ammontare dei crediti dubbi è un problema per l'intero sistema bancario nazionale, ma nel caso del gruppo capitolino il problema assume dimensioni patologiche. Nel bilancio al 31 dicembre 2001, Banca di Roma espone ancora, a nove anni dalla sua costituzione, crediti dubbi pari al 10,5% dell'ammontare totale dei crediti alla clientela. La percentuale è elevatissima: più del doppio della media dei primi undici gruppi creditizi italiani quotati in Borsa. L'anno successivo il controllo di Banca di Roma confluisce in una società di nuova costituzione, Capitalia, di cui Geronzi assume la presidenza. Capitalia è creata per integrare in un unico gruppo creditizio le attività di Banca di Roma con quelle del Banco di Sicilia e di Bipop-Carire. Un primo tentativo di Fazio di imporre a Banca di Roma l'acquisizione del Banco di Sicilia avviene nel 1993, quando al vertice del gruppo siede Pellegrino Capaldo. Le pressioni del governatore, in quella fase, cadono però nel vuoto, perché Capaldo è contrario ad appesantire ulteriormente la banca. L'operazione va in porto nel 1999, quando Banca di Roma è già da qualche anno saldamente nelle mani di Geronzi e la situazione patrimoniale del Banco di Sicilia è molto migliorata. Bipop-Carire finisce invece nell'orbita di Banca di Roma nel 2002, dopo che sono emerse al suo interno gravi irregolarità di gestione e condotte scorrette del management finite nel mirino della magistratura. L'istituto bresciano, guidato per anni da un padre-padrone come Bruno Sonzogni, sembra prossimo al dissesto. In realtà Geronzi lavora ai fianchi Fazio per annetterselo e rimpolpare così i mezzi propri di Banca di Roma. Bipop-Carire è tutt'altro che una banca fallita, tant'è che Banca di Roma dopo averla acquisita la rimette in sesto senza spendere un soldo, solamente con la vendita di asset. Ciononostante, al 31 dicembre 2002, i crediti dubbi di Capitalia rappresentano ancora il 9,8% di quelli totali alla clientela e addirittura il 110% del suo capitale netto. In altre parole, il capitale della banca non basta a coprire l'intero ammontare dei crediti dubbi. La Cassa di risparmio di Roma gravita nell'area politica di Giulio Andreotti. Ed è proprio all'insegna dell'andreottismo che Geronzi e Capaldo danno vita a un nuovo istituto: Banca di Roma. La nuova banca nasce nel 1992, nella fase finale del Caf (così definiscono i giornali l'alleanza politica tra Craxi, Andreotti e Forlani, che segna il culmine della collaborazione tra Psi e Dc), al termine di una serie di operazioni che vedranno confluire sotto un'unica bandiera Cassa di Roma, Banco di Santo Spirito e Banco di Roma. Geronzi in questa fase sta dietro le quinte. Protagonista principale della prima grande fusione creditizia degli anni '90 è Capaldo. Dapprima Cassa di Roma rileva dall'Iri il Banco di Santo Spirito, l'istituto cattolico creato nel '600 da papa Paolo V e concentrato soprattutto nel Lazio, Poi, con un'ulteriore mossa a sorpresa, acquista dallo stesso Iri la maggioranza del Banco di Roma, che con Comit e Credit è una delle tre banche d'interesse nazionale e partecipa al capitale di Mediobanca. A spianare la strada all'aggregazione è il capo del Governo, Andreotti, che nel 1989 ha nominato alla presidenza dell'Iri uno dei suoi uomini più fidati, Franco Nobili, il quale è stato per anni alla guida della Cogefar.
L'operazione è importante anche per un altro motivo: rappresenta il banco di prova della legge Amato-Carli sulle fondazioni bancarie, legge che prevede lo scorporo dell'impresa bancaria dalla fondazione che la possiede (nel caso in questione, l'Ente Cassa di risparmio di Roma), la contestuale trasformazione della banca in società per azioni e il suo successivo collocamento sul mercato da parte della stessa fondazione. Banca di Roma diventa così uno dei più grandi istituti italiani, leader nel Lazio grazie alle partecipazioni e alla rete di alleanze con le altre Casse della regione e con una quota di mercato per mezzi amministrati del 6% a livello nazionale. Essa è però un colosso dai piedi d'argilla, con una massa elevata di crediti inesigibili e scarsa redditività. Tra i suoi clienti figurano il "re" delle acque minerali Giuseppe Ciarrapico, andreottiano doc, lo stampatore Vittorio Farina, vicino all'ex esponente della loggia segreta P2 Luigi Bisignani, il produttore cinetelevisivo Vittorio Cecchi Gori, vicino al partito popolare, e il re delle cliniche private Giampaolo Angelucci, che diventerà anche editore di "Libero" e "Il Riformista" e siederà nell'azionariato di Rcs.
Nello stesso tempo Banca di Roma ricorrre in modo massiccio alle cartolarizzazioni, ossia alla trasformazione dei crediti inesigibili in titoli da piazzare sul mercato. Tra il 1999 e il primo trimestre 2004 sono collocati in Italia crediti cartolarizzati per un valore complessivo di 111 miliardi di euro e a fare la parte del leone sono proprio le banche e in particolare Capitalia, i cui crediti cartolarizzati ammontano a 13,5 miliardi di euro, seguita da Monte dei Paschi con 10,6 miliardi e da Bnl con 6 miliardi.
Quando Banca di Roma confluirà in UniCredit, le porterà in dote, accanto agli sportelli, anche un mare di attività a rischio. La banca guidata a quel tempo da Alessandro Profumo iscriverà nel primo bilancio post-fusione (quello del 2007) poco meno della metà del valore totale dei crediti dubbi dei primi undici istituti italiani quotati in Borsa.
Insomma, l'amicizia tra Fazio e Geronzi è "leggermente" interessata. Il governatore teme che il bubbone Banca di Roma possa destabilizzare il sistema bancario e creare il panico tra i depositanti, e fa di tutto perché ciò non avvenga. Il banchiere sa di essere a capo di una banca traballante, che necessita di protezione, si tiene buono il governatore e ne asseconda i desiderata. Al tempo stesso tempo rende favori alla politica e s'ingrazia le alte sfere vaticane. Una vera banca di sistema.
Cesare Geronzi e Antonio Fazio negli anni '80 sono in Banca d'Italia e intrattengono buoni rapporti. Poi il primo va per la sua strada, e quando prende in mano le redini di Banca di Roma, dopo le dimissioni di Pellegrino Capaldo da presidente, ritrova Fazio nel ruolo di Governatore. Fazio succede a Carlo Azeglio Ciampi il quale nel 1993 lascia Banca d'Italia per assumere la presidenza del Consiglio dei ministri. La sua nomina desta scalpore per almeno due motivi. Quando è nominato governatore, egli è vicedirettore generale di Via Nazionale. Sopra di lui, in linea gerarchica, siede il direttore generale Lamberto Dini. Eppure è Fazio ad avere la meglio, tant'è che l'anno successivo Dini, risentito, lascia Banca d'Italia per entrare in politica, all'inizio come ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi e poi, dopo la caduta di quest'ultimo, come capo di un governo tecnico. Non solo: la carica di governatore è stata ricoperta storicamente da esponenti di provata fede laica, mentre Fazio è un cattolico militante profondamente radicato nel mondo della Chiesa: è vicino alle più alte cariche vaticane, mostra simpatie per l'Opus Dei e per un altro ordine integralista come i Legionari di Cristo, a cui si consacrerà qualche anno dopo una delle figlie, Maria Chiara, ed è inoltre un grande studioso di San Tommaso e della dottrina sociale della Chiesa.
Fino a quando è Capaldo a presiedere Banca di Roma, Geronzi sta a rispettosa distanza dal Governatore. Quando Capaldo se ne va e viene a cadere ogni filtro, tra i due prevale un'intensa amicizia che Geronzi ostenta in pubblico, così come non fa mistero del legame con Sergio Cragnotti, il finanziere della Cirio finanziato da Banca di Roma, con il quale trascorre l'ultima dell'anno a Sankt Moritz. Con il pio e riservato Fazio, invece, si concede solo qualche spostamento a sfondo religioso. Restano negli annali i voli a Santiago de Compostela e a Lourdes, con aerei presi a nolo da Geronzi. Diranno le malelingue che, non sapendo più cosa fare per risolvere i problemi di bilancio di Banca di Roma, entrambi fossero andati a chiedere un miracolo alla madonna di Lourdes. Controllore e controllato dovrebbero mantenersi a debita distanza, essere autonomi l'uno dall'altro, ma la regola non si applica tra Fazio e Geronzi.
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