«Tieni duro», «Ci vediamo presto», «Ho menato una guardia»: frasi e chat scambiate liberamente su web
La pagina Fb
NAPOLI — Ciro tieni duro che tra un po' è finita, dice lei. «Ho già fatto due anni e un mese— spiega lui — e devo ancora scontare tre anni e sei mesi, ma c'è gente che sta peggio di me. Posso solo augurargli di avere tanta forza e di non mollare mai». Non sono messaggi via etere, né sms inviati col sistema delle dediche televisive, ma commenti lasciati dai detenuti e dai loro cari sulla bacheca on-line del gruppo di Facebook «La mia vita rubata dalla giustizia». Ciro tieni duro — ripete lei, napoletana —ci vediamo martedì. Come M., sul gruppo web che registra complessivamente 30mila persone— le pagine sono due: la seconda si chiama «La mia vita rubata dalla giustizia 2» — molti altri napoletani. Buona parte dei post e dei commenti è scritta in dialetto napoletano, e all'apparenza si tratta del classico sistema di comunicazione fra parenti, amici e detenuti, al di fuori degli spazi previsti dai colloqui in carcere. Comunicazione, dunque, assolutamente vietata, messaggi clandestini che hanno già determinato la chiusura di alcune stazioni radio e qualche indagine sulle trasmissioni tv. Ma qui c'è di più. Sembrerebbe, infatti, che in questo caso siano gli stessi detenuti a parlare. Come ci riescano, non si sa. Almeno, non ancora. Ad ogni modo, se una donna dice a una persona detenuta «ci vediamo martedì» , «tieni duro» , e così via, è ipotizzabile che sul monitor di un altro computer, di un cellulare o chissà cosa, qualcun altro possa leggere il messaggio. Che la pagina sia assolutamente illegale, qualcuno l'ha già capito. Lo stesso creatore del gruppo, infatti, avverte gli utenti: «Mi è stata bloccata la pagina, vi aspetto su quest'altra» . Che si chiama, appunto, «La mia vita rubata dalla giustizia 2»: basta aggiungere un «2» per aggirare l'ostacolo.
«A me mancano sette mesi e c'ho ancora da fare cause — scrive un utente sulla bacheca— A una guardia l'ho menata ed è stato troppo bello, ma dopo non vi dico. Ciao grandi, e onore a noi». Non mancano, poi, le richieste di dediche ai detenuti. «Ciao— scrive un giovane napoletano — Riesci a fare un link da dedicare a mio padre che è già da due anni in galera? Rispondi, grazie. Sotto il link scrivi ' by ...'«. Al posto dei puntini, ci sono il nome e il cognome del ragazzo che fa la dedica al papà carcerato. È un gruppo pubblico, accessibile a tutti, e i frequentatori sono per la stragrande maggioranza napoletani. Sul sito, infatti, si parla quasi esclusivamente in napoletano. In dialetto napoletano, il creatore del gruppo ha scritto soltanto venerdì scorso: «Senza un padre, manca la gioia in una casa».
Trentacinque, le persone che hanno cliccato su «mi piace» , undici i commenti. «Vi auguro un presto ritorno a casa — dice il creatore della pagina — Vi vogliamo sempre bene, non sarete mai da soli». Le foto inserite nella gallery relativa al gruppo ritraggono tutte, manco a dirlo, uomini rinchiusi dietro le sbarre. «Non vedo l'ora che esci, vita mia». È la dedica di una ragazza, che commenta il post intitolato, in un italiano perlomeno incerto: «Non abbandonare mai un carcerato perchè hanno molto bisogno di un conforto morale, gia anno le loro giornatacce» . E si gioca anche a guardie e ladri, in un certo senso. A un iscritto che afferma: «No, chi ha sbagliato deve pagare, sempre», una frequentatrice del gruppo risponde: «Caro Bruno... tu sei un poliziotto! Non potrai mai capire un carcerato!!! E non potrai mai provare i loro dolori!! Prova a rinchiuderti in un metro di stanza solo per una settimana, senza nessuno ma solo una piccola finestra che ti faccia prendere aria, una brandina e 4 mura! E voglio proprio vedere se ci resisti e se dopo dici chi sbaglia paga!!».
Intanto la Polizia postale campana, guidata dal dirigente Domenico Foglia, ha avviato un'indagine. «Inoltreremo un'informativa di reato in Procura - spiega Foglia - chiedendo un decreto per rintracciare le connessioni a internet e capire da dove siano stati inviati i messaggi. In tal modo, faremo luce anche su eventuali responsabilità da parte delle strutture carcerarie, o di altre persone coinvolte».
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