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28 mar 2011

La rivincita dei blogger i guru dell'informazione

Qualche anno fa erano considerati un fenomeno di serie B: oggi sono i trionfatori della informazione made in Usa. Ritratto dei blogger di Washington e dintorni: così potenti da influenzare la Casa Bianca. Il successo è tale che ha costretto anche le testate più importanti ad aprire loro le porte


TI ACCORGI che qualcosa sta cambiando quando nella conferenza stampa Barack Obama di fronte a una selva di mani alzate sceglie di dare la parola al corrispondente di Politico. com, un blog. È lo stesso corrispondente a cui il protocollo della Casa Bianca assegna uno dei rari posti in prima classe sul volo charter (ribattezzato Air Force Two) che segue il presidente in trasferta all'estero. Quell'onore fino a poco tempo fa era riservato agli anchor di Cnn e alle grandi firme del New York Times, Washington Post. Ma questi piccoli segnali di rispetto non fanno che ratificare un dato di fatto: l'intero establishment di Washington si sveglia al mattino seguendo le regole di un rituale nuovo. Mentre sulla radiosveglia gracchia il notiziario di Npr, mentre lo schermo tv è acceso sulle cable-news di Fox o Msnbc, gli occhi assonnati s'incollano prima di tutto all'iPhone o all'iPad per scorrere la prima email mattutina di Mike Allen: è il condensato delle notizie (e qualche volta degli scoop esclusivi) che segneranno l'agenda politica del giorno. Il blogger Allen si arroga il diritto di aprire la sua email con questo titolo: "Se leggete una sola frase...". Segue l'incipit dell'articolo che Allen considera come il più importante del giorno, scelto da uno dei media tradizionali e non. Sabato l'onore è toccato al New York Times, con la prima frase di un articolo dove si rivelano i timori del Pentagono su una no-fly zone libica protratta per molti mesi.

Un onore, davvero: per i giornalisti del New York Times "finire primi" nella selezione mattutina di Allen è un riconoscimento. Questa è l'èra in cui la "madre dei super-blog" Arianna Huffington ha varato una fusione alla pari con Aol, pioniere di Internet, e oggi parte alla conquista dell'Europa aprendo a Londra la sua prima edizione oltreoceano. Eppure quando nacque The Huffington Post era un paria, un outsider, occupava una nicchia marginale sul mercato dell'informazione. Ora il New York Times celebra il trionfo degli ex-outsider, diventati delle autentiche potenze. I nuovi Vip del giornalismo americano si chiamano Brian Beutler, 28 anni, reporter per il sito Talking Points Memo. Dave Weigel, 29 anni, inviato politico del blog Slate. Matt Yglesias, 29 anni, che creò il suo blog quando era ancora studente a Harvard e oggi è una star dell'informazione online. Poi ci sono anche i meno giovani che grazie al blog hanno conosciuto una seconda vita: il caso più celebre è quello di Andrew Sullivan, ex direttore del magazine élitario The New Republic, che si è "reinventato" con il suo blog The Daily Dish (il piatto quotidiano), oltre 300.000 lettori quotidiani.

La potenza dei blogger non ha un colore politico uniforme, investe tutto lo spettro dei partiti e delle ideologie: la Huffington è una iper-progressista che critica regolarmente Obama da sinistra, Sullivan è decisamente un conservatore. Ma dietro di loro, sono i ventenni la vera forza d'urto di questo fenomeno. Sbarcati a Washington 4 anni fa come dei bohémien, squattrinati e privi di accesso alle fonti politiche importanti, da allora sono stati proiettati ai vertici dell'establishment mediatico. Un altro segnale aneddotico della loro potenza: i "fan" si passano nomi e indirizzi dei locali notturni frequentati dai blogger, proprio come se fossero divi del cinema o rapper. Gli avvistamenti più frequenti sono al Black Cat, un club di musica all'angolo fra la 14 Strada e la S, e il 9:30 Club, al numero 815 della V Street. Con un po' di fortuna potreste vederli sorseggiare un birra allo stesso tavolo con alcuni dei consiglieri di Obama che sono loro coetanei (anche lo staff della Casa Bianca ha fatto un balzo generazionale inaudito: alcuni membri del National Security Council sembrano stagisti laureandi).

Qual è l'impatto reale di questa generazione di ventenni sull'informazione politica americana? Nessuno mette in discussione il loro talento, né il fatto che abbiano riempito uno spazio di mercato: a cominciare dai lettori della loro stessa generazione, che consumano notizie sotto la forma abbreviata, sincopata, dei messaggi su Twitter e su Facebook. I media tradizionali ne hanno preso atto, cooptando come nuove firme alcuni di questi blogger. Il Washington Post ha ospitato sul suo sito per 3 mesi i commenti di Dave Weigel; dopodiché il blogger è stato ingaggiato come commentatore dalla cable-tv di sinistra Msnbc, la rivale di Fox. Ezra Klein, che da studente alla University of California Los Angeles era stato bocciato come aspirante redattore del giornale universitario, dopo il successo del suo blog è stato assunto come opinionista da Washington Post e Newsweek. Klein riconosce che l'ingresso in un "tempio del giornalismo" come il Washington Post ha trasformato il suo modo di lavorare: "La verifica delle notizie, il controllo delle fonti, tutto ciò avviene secondo un metodo formalizzato, con delle regole da seguire, un atteggiamento più cauto e responsabile". Questo non gli ha impedito uno scivolone nelle vecchie abitudini del blogger d'assalto, che gli è costato caro. Attaccando il senatore Joe Lieberman per il suo voto contro la riforma sanitaria di Obama, Klein lo accusò di "preferire la morte di centinaia di migliaia di pazienti, pur di regolare qualche vecchio rancore politico". Una frase imperdonabile secondo un blogger avversario, il conservatore Tucker Carlson del Daily Caller. Sommerso dalle polemiche, Klein ha finito per dimettersi dal Washington Post.

L'episodio sembra dare ragione a chi considera questo neo-establishment dei blogger-Vip come un decadimento del giornalismo americano. Superficiali. Faziosi. Virulenti fino all'insulto (in America, grazie alla libertà d'espressione garantita nel Primo Emendamento, le querele sono praticamente impossibili). Lo storico dell'informazione Douglas Brinkley, sul New York Times stigmatizza l'ascesa troppo rapida di questi ventenni che hanno bruciato le tappe, arrivando nel cuore della politica a Washington senza essersi fatti le ossa in un mondo più vasto: "Un tempo le grandi firme facevano il giro degli uffici di corrispondenza all'estero, quando arrivavano a Washington avevano un background globale. Ora dominano dei reporter che sono bravi nel marketing di se stessi, ma superficiali". Sullivan al contrario esalta il fenomeno dei blogger ventenni che fanno opinione nella capitale "perché ha spalancato la professione del giornalista ai giovani, imponendo nuovi linguaggi". Il formato dei blog ha un vantaggio indubbio: lo spazio non costa come sulla carta, quindi chi ha tempo e voglia e talento può approfondire temi complicati (la riforma sanitaria, il deficit di bilancio). "Mi considero prima di tutto un divulgatore" dice Yglesias.

Il direttore del New York Times, Bill Keller, scende in campo personalmente per descrivere il ruolo dell'"ammiraglia" di tutti i quotidiani (1.100 giornalisti), in quella che lui definisce "l'èra dell'informazione-guerriglia" con un'allusione anche al fenomeno-WikiLeaks (altro terremoto recente di questo settore). Dai blogger militanti a Julian Assange, tutti in qualche modo mettono in discussione la centralità della stampa. "Crediamo ancora  -  scrive  -  nella verifica delle notizie. Diamo un valore superiore al rigore, alla precisione, rispetto alla sensazione. Vogliamo che i nostri articoli possano reggere ad ogni esame. Alcuni dei nostri critici sostengono che l'obiettività è irraggiungibile, oppure noiosa, quindi perché inseguirla?". Ma Keller spiega anche la ricerca dell'imparzialità "non significa essere neutrali, né dare lo stesso peso ad ogni punto di vista, anche i più strampalati: come chi continua a sostenere che Obama non è un cittadino americano; no, l'imparzialità è una disciplina".

Nella trasformazione costante del prodotto-giornale, il rapporto con la blogosfera somiglia alla "distruzione creativa" teorizzata dall'economista Joseph Schumpeter. I blog nascono e muoiono, la selezione della specie fa emergere i soggetti più resistenti: e anche quando non finiscono per essere cooptati dai media tradizionali, l'idea di doversi misurare continuamente con un "giornale di riferimento" come il New York Times non è affatto morta. 

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