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7 gen 2011

Brasile, prima sconfitta per Battisti



L'ESTRADIZIONE DELL'EX TERRORISTA

Il tribunale supremo respinge la richiesta di libertà immediata. E i giuristi: all'Aia vincerebbe l'Italia

Cesare Battisti
Cesare Battisti
ROMA - Cezar Peluso, presidente del Supremo Tribunale Federale brasiliano, ha respinto l'istanza dei legali di Battisti che ne chiedevano la scarcerazione dopo il no all'estradizione deciso dall'ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva. Lo riferisce il sito web del brasiliano Terra. Peluzo ha spiegato che gli avvocati dell'ex terrorista rosso condannato in Italia all'ergastolo per 4 omicidi non hanno fornito alcun elemento nuovo per sostenere che Battisti sarebbe perseguitato se fosse estradato in Italia. Peluso ha rinviato ogni decisione a Gilmar Mendes, giudice del Stf e relatore sul caso Battisti, che non potrà esprimersi fino al primo febbraio, all'apertura dell'anno giudiziario brasiliano al termine delle ferie che in Brasile cadono a gennaio. Sia Peluso che Mendes conoscono bene il dossier e a novembre del 2009 votarono entrambi con la maggioranza dei giudici del Stf a favore dell'estradizione di Battisti. Parere ribaltato da Lula nel suo ultimo giorno da presidente, forte di un parere dell'Avvocatura Generale dello Stato, organo governativo non indipendente a differenza del Stf.

I GIURISTI - Nel caso in cui l'Italia, in merito alla mancata estradizione di Cesare Battisti, si rivolgesse alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia, il Brasile «verrebbe sicuramente condannato». Ne è convinto l'avvocato Francisco Rezek, ex giudice del Supremo Tribunal Federal nonché ex membro del Tribunale dell'Aja dal '97 al 2006, intervistato dal quotidiano brasiliano Folha. «È talmente assurda l'ipotesi di non rispettare una decisione della Corte dell'Aja che non riesco nemmeno a pensarlo», ha detto Rezek auspicando che prima «il Supremo Tribunal Federal ripari all'errore commesso dall'ex presidente Lula». Dello stesso avviso anche Marina Basso, professore di diritto internazionale all'università di San Paolo. La situazione dell'Italia davanti alla Corte dell'Aia è «talmente favorevole» che non varrebbe la pena promuovere un giudizio, che potrebbe durare anche cinque anni; basterebbe la richiesta di un parere che si risolverebbe in pochi mesi, ha suggerito Basso.


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