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4 dic 2010

Il sito cambia paese per sfuggire agli attacchi

È una specie di inseguimento globale, roba da far venire l'acquolina in bocca a uno sceneggiatore di Hollywood. Servizi segreti, forze di polizia, parlamenti e governi di mezzo mondo vorrebbero mettere in discussione l'esistenza digitale di WikiLeaks, il sito corsaro che ha travolto le più importanti diplomazie del pianeta. Il quale, pur di sopravvivere, scompare e riappare in giro per il mondo, in un vorticoso inseguimento fatto soltanto di bit.
Tutto comincia tre giorni fa, quando Amazon, la regina del commercio elettronico che vende anche servizi di connettività, stacca la spina al sito del pluri-ricercato Julian Assange, dopo che il senatore americano Joe Liebermann (presidente del comitato per la Sicurezza nazionale) l'aveva accusata di appoggiarlo. «WikiLeaks pubblica materiale che non è di sua proprietà», si sono giustificati ad Amazon. «Se Amazon è così a disagio con il primo emendamento – ha risposto Assange su Twitter, sventolando il diritto alla libertà di parola – farebbe bene a smettere di vendere libri».
Al che, WikiLeaks riappare subito dopo su EasyDns, un sito californiano che giustappunto gestisce – come faceva Amazon – gli indirizzi Dns. Il Domain name system è stato inventato per tradurre i nomi dei siti (www.wikileaks.org) nel protocollo numerico usato dal computer in rete (213.251.145.96) e ci sono dei server che fanno questo specifico lavoro.
Ma solo un giorno dopo, anche EasyDns si dissocia da Assange. «Abbiamo ricevuto troppi attacchi DdoS e non possiamo mettere a rischio gli altri clienti», hanno detto. L'attacco Ddos (distributed denial of service) è la più facile arma digitale: si allaga un sito di contatti e quello non funziona, o funziona male. Difficile dire se EasyDns abbia ricevuto davvero attacchi Ddos. Assange ne dubita pubblicamente. Però, con nemici così numerosi e potenti, non è inverosimile.
Così, ieri mattina il sito corsaro è riapparso all'indirizzo www.wikileaks.ch, in Svizzera. Registrato dal Partito pirata elvetico, che come quello svedese reclama libertà di parola e di download, è servito per alcune ore a fare da Dns server, rimandando a due diversi server, uno nel cuore della Francia e uno in un'area semi-disabitata della Svezia (gli indirizzi Ip sono facilmente localizzabili geograficamente, grazie a siti come www.utrace.eu).
Peccato che sia durata solo poche ore: ieri nel tardo pomeriggio, l'indirizzo svizzero di WikiLeaks non funzionava già più. Ed ecco che, alle 18.40 ora italiana, su Twitter compare un nuovo messaggio pirata: siamo raggiungibili su wikileaks.de, wikileaks.fi e wikileaks.nl. In altre parole, Assange continua a parlare dalla Germania, dalla Finlandia e dall'Olanda. Ed è possibile che presto o tardi lo farà anche dall'Italia: il dominio wikileaks.it è stato registrato lo scorso maggio.
Possiamo stare certi che l'inseguimento digitale andrà avanti ancora un bel po'. Ma gli esiti sono incerti: ad esempio, quando arriveranno le pressioni su Twitter, per togliere ad Assange il microfono di riserva?
Intanto però, ieri un microfono gliel'ha dato il quotidiano inglese The Guardian, consentendo ad Assange di rispondere alle domande dei lettori. «Già dal 2007 – ha spiegato l'hacker australiano – abbiamo piazzato deliberatamente alcuni dei nostri server in giurisdizioni dove la libertà di parola scarseggia, in modo da separare la retorica dalla realtà».
Eppure lui si sente sicuro. «L'archivio è stato distribuito, in forma criptata, a 100mila persone nel mondo. Se a noi succedesse qualcosa, verrebbe decodificato automaticamente. La Storia vincerà. E il mondo sarà migliore. Sopravviveremo? Questo dipende da voi», ha detto Assange, profetizzando una disfida campale.
WikiLeaks è «il primo Samizdat globale», proclama il fondatore. Il Samizdat era un documento censurato che i dissidenti sovietici facevano circolare. Vladimir Bukovsky lo definiva così: «Lo scrivo, lo stampo, lo distribuisco e mi arrestano». Ma la carta è carta. I bit sono bit.

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