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16 nov 2010

Neanche Bossi lo convince: «Non mollo, fiducia o voto»


Due ore tese e serrate per valutare gli effetti dell'addio di Fli al governo, vale a dire un passo verso la crisi, e gli scenari. Con Berlusconi restio a lasciarsi convincere da Bossi che una crisi pilotata possa rappresentare una soluzione anziché la porta spalancata al "trappolone" di Fini e Casini. «Non c'è alternativa al mio governo - ha continuato a ripetere all'alleato - Non mi fido di Gianfranco, vuole mettermi da parte». Incassando un patto di ferro con il Senatùr: senza la fiducia, le elezioni.

Quel che resta della maggioranza serra le fila. Tre ore di vertice in via Bellerio ieri pomeriggio, poi la delegazione del Carroccio con Bossi, Calderoli e Maroni raggiunge Arcore. Salutata dal neo ex viceministro Urso: «Bene che Bossi sia uscito dal cespuglio, speriamo svegli il pachiderma...». In parallelo, Berlusconi riunisce i suoi triunviri Bondi, La Russa e Verdini, in attesa degli alleati lumbard. All'incontro PdL-Lega prende parte anche il Guardasigilli Angelino Alfano. Non c'è Tremonti, che ad un convegno aveva definito «molto complicata» la sua giornata. Tra i leghisti anche il governatore piemontese Cota, il capogruppo Reguzzoni, Giorgetti e il figlio di bossi Renzo.

Alfano ad Arcore
Il premier ha ribadito l'intenzione di «andare avanti», convinto da un lato di non potersi fidare delle garanzie di Fini e dall'altro lato che a Fli, alla fine dei conti, non conviene andare al voto perché non è pronta. Con un corollario non da poco: «La Lega è con noi» ha ripetuto al suo stato maggiore. E dunque, archiviata la legge di stabilità, la road map del Cavaliere è una prova muscolare: intanto "andare a vedere" se una parte dei finiani non gli voterà contro. I parlamentari di Fli sono oggetto di un pressing finale: Berlusconi li sta chiamando uno a uno promettendo la rielezione. Se poi venisse a mancare la maggioranza alla Camera, resta sul tavolo l'azzardo di far sciogliere un solo ramo parlamentare. Ma il Cavaliere, consapevole che quella strada è difficilmente percorribile, pensa a scenari alternativi. E intanto mette carburante nel serbatoio di una campagna elettorale che sarebbe plebiscitaria come mai prima: la mobilitazione centrata sul «tradimento» dell'ex co-fondatore pidiellino è già in cantiere. «Gianfranco non sa cosa lo aspetta - si è sfogato - Gli italiani capiranno che è stato lui a volere la crisi, e senza un motivo». Non c'è soltanto la piazza: il premier pensa al ritorno sul piccolo schermo da cui manca da tempo, un nuovo simbolo del PdL con il suo nome, lo "svecchiamento" della macchina-partito partendo dal territorio. Nella sua agenda, fa sapere Enrico Mentana, ci sono già diverse apparizioni tv. Magari proprio su La 7 dal suo ex direttore di Canale 5.

Agenda televisiva
Bossi a sua volta ha insistito sul Berlusconi-bis: ad avviso del Senatùr c'è ancora spazio per giocare «al rialzo» spiazzando Fini e Casini, ma il premier teme il "trappolone". Sa che Gianni Letta, che ieri ha evocato l'«amarezza» di Cavour e invocato l'unità per il bene del Paese, non assumerebbe mai un ruolo direttamente politico "contro" di lui. E ragiona, con scarsissima convinzione, sui rischi reali di un «passo indietro» magari a favore del giovane e spendibile Alfano: pro e contro, soprattutto in vista della futura corsa al Quirinale dove sarà decisiva la prossima maggioranza parlamentare.
Tutto fermo, però, in attesa del colloquio di oggi pomeriggio al Quirinale dei presidenti delle Camere Fini e Schifani. Soltanto dopo aver ascoltato le conclusioni delle prime tre cariche dello Stato (una delle quali il suo più acerrimo nemico in questa fase) scatterà l'offensiva. 

Ad aumentare i grattacapi del premier ci si mette l'irrequieto Stracquadanio che in un'intervista al Corsera dà le pagelle ai ministri. Alfano «freddino», Gelmini e Frattini «zitti zitti», Carfagna «tormentata» tra la lealtà e l'amicizia con Bocchino, idem la Prestigiacomo tentata dal movimento di Micciché. 
Berlusconi lo stoppa di persona: «Offese abnormi che non commento a persone che operano benissimo e a cui voglio bene». E Stracquadanio si pente, paventa dimissioni da deputato, si placa dopo un «abbraccio» telefonico con il premier che in questa situazione non può fare a meno di nessuno.

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