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25 nov 2010

Dal premier stoccate a Fini e Udc

Una conferenza stampa a Palazzo Chigi con il ministro della Gioventù Giorgia Meloni ha offerto ieri a Silvio Berlusconi l'opportunità non solo di illustrare il pacchetto di misure per l'occupazione giovanile allo studio del governo, ma, soprattutto, di ribadire le sue intenzioni e le prospettive di esecutivo e maggioranza, senza mancare di polemizzare con Gianfranco Fini e con «i signori dell'Udc», a cui ha suggerito di appoggiare il governo «dall'esterno».
Berlusconi è tornato a ripetere di non voler fare alcun "passo indietro", come continuano a chiedergli finiani e centristi. Se mai, ha detto, «il passo indietro dovrebbe farlo qualcun altro, il presidente della Camera per primo, visto come si è comportato da presidente della Camera, che dovrebbe essere superpartes e invece è stato di parte in maniera assoluta, arrivando addirittura a dare vita a un nuovo partito». Parole interpretate come una nuova richiesta di dimissioni per Fini, che poco dopo il sottosegretario e portavoce del premier Paolo Bonaiuti ha però provveduto a smentire: «L'invito a fare il passo indietro riguardava, con ogni evidenza, la posizione politica e le indicazioni, anche odierne, di alcuni esponenti di Fli di votare la sfiducia al governo».
Quanto all'Udc, il premier ha escluso che il partito di Pier Ferdinando Casini possa sostituire Fli nella maggioranza. «C'era e c'é l'interesse dell'Udc di alzarsi, e senza chiedere nulla, dire appoggiamo il governo dall'esterno: un'occasione straordinaria e lo sarebbe ancora oggi, nell'interesse generale del paese», ha spiegato, tornando a invitare i centristi all'appoggio esterno. Questi ultimi rispondono con ironia, ribadendo la richiesta di dimissioni del governo. «Ringraziamo Berlusconi, ma pensi lui all'interesse del Paese e non perda l'occasione storica per dimettersi», dice il segretario Udc, Lorenzo Cesa. «Si dimetta e apra una fase nuova, poi discuteremo», lo invita Casini, ribadendo che l'Udc non voterà la fiducia al governo il 14 dicembre.
Berlusconi resta però convinto di avere i numeri sia al Senato che alla Camera e assicura di avere ancora il 54% di consensi. Se però la maggioranza non sarà abbastanza forte per fare le riforme, si dovrà andare al voto, avverte, in totale sintonia con la Lega.

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