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26 nov 2010

"Bersani sbaglia a salire sui tetti così legittima solo i violenti"

Gelmini: «Temo che qualcuno si faccia male. Sul futuro dei giovani la politica dovrebbe avere un atteggiamento diverso»

MILANO
Più dei finiani che votano con l'opposizione e più degli studenti in piazza, a turbare Mariastella Gelmini è un'immagine che non riesce a togliersi dagli occhi. L'immagine della pelata e del sigaro di Bersani che spuntano da una scala per depositarsi su un tetto. «Ma io dico e mi chiedo: come fa un uomo di più di 50 anni, segretario di un grande partito, a non capire che così rischia di legittimare gli eccessi? Mi creda: io sono davvero preoccupata, non vorrei che tutto degenerasse, che qualche giovane finisse con il farsi male».

Non sta esagerando?
«Purtroppo no. In questi giorni la protesta ha già toccato punte di violenza. I politici abbassino i toni».

Vuol zittire l'opposizione?
«Ovviamente no. È giusto che l'opposizione critichi, chieda cambiamenti, abbia un punto di vista diverso. Ma come si fa a far credere ai giovani che stiamo negando loro il futuro? Si rende conto? Chi dice cose del genere si assume una grave responsabilità».

La sinistra sta cavalcando la protesta per interesse di parte?
«Questa riforma è nata dopo due anni di dibattiti politici e di incontri con gli studenti e con il mondo accademico. Tutto è stato ampiamente spiegato, discusso. Adesso salta fuori che la riforma uccide il diritto allo studio! Ma stiamo scherzando? E poi, posso farle un esempio? Per molto tempo l'obiezione principale della sinistra era che mancava una copertura finanziaria. Adesso che il governo ha stanziato un miliardo di euro, l'opposizione dovrebbe prendere atto che almeno quel problema è risolto. E invece, niente».

La riforma è un pretesto per dare un altro colpo al governo?
«Io capisco che il clima è avvelenato da altre questioni, e capisco che l'attuale instabilità non aiuta. Ma almeno su questo tema, sul futuro dei nostri giovani, bisognerebbe avere un approccio diverso. Invito tutti a leggere serenamente il testo. Non è una riforma targata politicamente, ma una riforma nata dalla condivisione del mondo universitario».

Non protesta solo l'opposizione. Protestano anche gli studenti.
«Se permette, una parte degli studenti. Se guardi la tv sembra che siano la maggioranza. E invece la maggioranza è in università, a studiare».

Però una protesta c'è.
«Non lo nego. Ma sinceramente è una protesta che mi stupisce molto. Quegli studenti non capiscono che stanno difendendo non i propri interessi, ma quelli dei baroni?».

Immagini di avere di fronte un gruppo di contestatori e provi a spiegare perché stanno difendendo i baroni.
«La riforma introduce criteri di merito nell'assegnazione delle cattedre, evita le parentopoli, abolisce i rettori a vita... Ma lo sanno questi studenti che in Italia abbiamo rettori in carica da 20-25 anni? Con la riforma non dureranno più di sei anni. E poi la distribuzione delle risorse non avverrà più a pioggia, ma in base a criteri di merito. Chi dimostrerà di aver tenuto alta la qualità della ricerca e della didattica avrà risorse, chi lavorerà male non ne avrà più. Le sembra sbagliato? Non possiamo negare che ci siano stati casi di cattiva gestione, di sprechi, di assunzioni di parenti».

Si dice che i ricercatori diventeranno precari
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«Una sciocchezza. I ricercatori sono precari adesso, molti lo restano fino a 60 anni. Noi abbiamo dato ai ricercatori una prospettiva che prima non avevano: dopo due contratti potranno diventare associati con un concorso».

E i tagli di sedi e di corsi di laurea?
«La moltiplicazione delle sedi e dei corsi è stato un approccio quantitativo che ha portato a sprecare moltissime risorse, a danno anche dei corsi di laurea più importanti e più frequentati. L'obiettivo non è che ogni ragazzo abbia un'università sotto casa. Ma che ogni ragazzo abbia una buona università. Basta con i corsi fantasma e con quelli che producono disoccupati».

Non è che si tagli solo perché c'è la crisi?
«Anche qui, ascolti: a tutti i ministri farebbe comodo avere risorse infinite. Ma chiedere soldi come fa adesso la sinistra è pura demagogia. Quando Tremonti va in Europa a rendere conto delle nostre spese, non lo per se stesso né per Berlusconi. Lo fa per tutti noi. La crisi c'è, e nessuno ha la bacchetta magica. Ma possiamo fare in modo che questa crisi diventi l'opportunità per migliorare l'università».

Si è mai chiesta perché in Italia chiunque cerchi di mettere mano al mondo della scuola finisce con lo sbattere contro un muro?
«Tante volte. Ne ho parlato anche con Luigi Berlinguer, che ci provò prima di me. Evidentemente si vanno a toccare lobby, conservatorismi, privilegi».

C'è anche un retaggio del Sessantotto?
«Oh sì, certo. Nel Sessantotto ci si volle illudere che l'egualitarismo equivalesse a giustizia sociale. E abbiamo creato una società con scarsissima mobilità: oggi il figlio dell'operaio fa ancora l'operaio e il figlio dell'avvocato fa ancora l'avvocato. L'unica strada da percorrere è quella del merito. E il merito in Italia fa paura perché scardina tutto un sistema, imperniato anche su rapporti personali, familistici».

Fra i retaggi del Sessantotto c'è anche l'idea che lo Stato debba provvedere a tutto senza guardare i bilanci?
«Sì. Chi oggi grida “risorse-risorse-risorse” senza fare i conti con la realtà condanna il Paese al declino».

È preoccupata che la sua riforma non passi?
«No. Vado fiera del mio lavoro. Mi preoccupa di più il clima, la tenuta sociale. Non si può mettere a repentaglio la vita dei giovani per quattro voti in più».

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