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25 set 2010

L'isola di St Lucia che agita la maggioranza è una perla dei Caraibi, tra banane e società offshore

«Il mare è la storia», ha scritto il poeta Derek Walcott, pelle scura e occhi verdi, che da Castries, capitale di St. Lucia (guarda le foto), è andato a insegnare ad Harvard e a ritirare il premio Nobel per la letteratura a Stoccolma. Il mare-storia di questa piccola isola delle Antille oggi accoglie le mega navi da crociera cariche di turisti americani che sbarcano per una giornata libera mordi e fuggi e che si ammira dalle infinity pool dei resort di lusso immersi fra le palme da cocco e la giungla.

Quel mare che potrebbe chiamarsi "mar delle società offshore", visto che ondeggia fra isole che non sono solo paradisi tropicali, ma anche fiscali. Al 10 di Manoes street di Castries, vicino alla casa natale di Walcott, c'è la sede delle società che fanno capo a Giancarlo Tulliani e oggi al centro dell'affaire immobiliare di Monte Carlo, che ha coinvolto anche il ministro della Giustizia santluciano. Parte di un governo che tiene le sorti di quel milione e settecentomila creoli che alternano l'inglese ai dialetti francesi, ultima reliquia dell'antica lotta per il dominio che impegnò le due potenze europee, che si risolse con la vittoria della Gran Bretagna. L'indipendenza dall'altra isola, nordica e potente, per St Lucia è arrivata solo nel 1979. 

Una volta da St Lucia venivano soprattutto banane e banane. Oggi ci si arriva soprattutto per tre motivi: costituire una società offshore, sposarsi sula spiaggia al tramonto e guardare lo spettacolo dei Pitons, le due montagne che sorgono dal mare, patrimonio Unesco che tutti i resort di lusso fanno a gara a incorniciare nello loro vetrate.

Più discreta della mondana St Barths, più esotica di St Vincent e Grenadine, a St Lucia si trova soprattutto chi cerca un ambiente "lush", l'aggettivo più ricorrente dell'isola, che significa un misto di rigoglioso, opulento e misterioso. E soprattutto chi vuole scappare da atmosfere tipicamente e caoticamente caraibiche. Persino quella Amy Winehouse sempre in cerca di luoghi adatti al prossimo rehab, l'ha eletta a seconda casa, vi ha registrato l'ultimo cd e fra una canzone grattata e l'altra, faceva lunghe passeggiate a cavallo sulle spiagge. Con i ragazzini che la guardavano, ridevano e la chiamavano "il rettile tatuato". 

Messa nella lista grigia dell'Ocse per aver firmato nel 2002 l'accordo per applicare gli standard fiscali, senza rispettarlo mai, St Lucia sta cercando di mettersi in pari con le vicine e più ricche isole, dando spazio a un turismo sobrio e ricercato. Le catene di hotellerie più interessanti del momento, come la nuova Viceroy o le classiche Banyan Tree e Aman, l'hanno capito e stanno battendo le coste per trovare la baia perfetta dove costruire. Tutti boutique hotel, intendiamoci, perché l'isola non vuole diventare una mini Santo Domingo invasa dai seguaci low cost del tutto-compreso-tranne-gli-alcolici. Le sue piccole dimensioni le piacciono, la sua aria di esclusività anche. Almeno, quella che gira nelle suite più che negli uffici di consulenza per gli "imprenditori internazionali".

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