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13 mag 2012

Ascesa, crollo e fuga del "Voldemort" di Jp Morgan Così è soprannominato Bruno Iksil, il banchiere protagonista del nuovo scandalo che fa tremare la finanza globale. Che diceva di sé "Sono capace di camminare sulle acque come Gesù", di fare miracoli. E che da giovedì è praticamente scappato a Parigi. Ai giornali britannici che chiedevano commenti sulla vicenda ha risposto solo: "Non posso parlare, rivolgetevi ai portavoce della mia banca"



LONDRA – Nella City lo chiamavano Voldemort, come il cattivo dei romanzi e dei film di "Harry Potter", per il potere immenso che aveva sui mercati finanziari. E anche "Balena", per la quantità di denaro prodigioso che metteva in moto con i suoi sempre più rischiosi investimenti. Quanto a lui, non proprio modestamente, si paragonava a Gesù, definendosi sul proprio sito internet come uno capace di "camminare sulle acque". Di fare miracoli, insomma. Ma l'ultimo non gli è riuscito, e ora, insieme a lui, rischiano di sprofondare sott'acqua la sua banca, la JP Morgan, cassaforte numero uno d'America, e l'intero settore bancario mondiale.

   Bruno Iksil, alias Voldemort, Balena, Gesù, il banchiere protagonista del nuovo scandalo che tremare la finanza globale, non è più nella City. E' tornato a casa, in pratica è scappato, a Parigi. Faceva il pendolare, prendendo ogni lunedì l'Eurostar, il treno che in due ore esatte collega le due capitali sui lati opposti della Manica, per andare a lavorare a Londra, dove aveva un pied-a-terre per dirla alla francese, e riprendeva il treno nella direzione opposta il giovedì sera, per farsi un lungo week-end con la moglie e i quattro figli sulle rive della Senna. Contattato dal Guardian prima di scomparire, ha detto soltanto questo al quotidiano londinese: "Non posso parlare. Rivolgetevi ai portavoce della mia banca". E poi silenzio.

   Il Voldemort della City non era un "rogue trader", un corsaro della finanza come Jerome Kervil, l'autore di un "buco" da 4 miliardi di sterline alla Societé Generale due anni or sono, o come Kweku Adoboli, il giovane nigeriano che l'anno scorso ha provocato una perdita da 1 miliardo e mezzo al colosso svizzero Ubs. Iskil non è accusato, o almeno non sembra, di operazioni non autorizzate, di imbrogli, di nulla di illegale. Ma proprio per questo sembra ancora più grave la voragine da 2 miliardi di dollari da lui provocata nelle casse della JP Morgan, a cui si aggiunge la perdita del 9 per cento del valore delle azioni della banca, pari ad altri 10 miliardi di dollari, come conseguenza del suo operato. Analisti finanziari e leader politici sulle due sponde dell'Atlantico la definiscono una prova, l'ennesima, delle necessità di regolare il "casinò banking", le banche che operano come case d'azzardo, di imporre la "regola Volcker" e altre norme restrittive, per evitare un black-out del sistema finanziario internazionale, un altro, come quello che ha innescato la grande crisi del 2007-2008 a partire dal fallimento della Lehman Brothers.

   La materia trattata da Iskil/Voldemort era la stessa: i derivati, investimenti ad alto rischio, scommesse su titoli contro l'andamento previsto di altri titoli, fatte allo scopo, paradossalmente, di "assicurare" la propria banca da eventuali perdite. Da mesi giravano voci che i capitali spostati dall'ufficio londinese della JP Morgan in queste operazioni, manovrati in gran parte da Iskil, fossero troppo grossi e troppo rischiosi. Così grossi che, scrive il Financial Times, si tiravano dietro "trilioni di dollari" di investimenti. Alla grande banca americana, all'inizio, reagivano dicendo che quelle voci erano la classica "tempesta in una tazza di tè". Invece ora appaiono un tornado capace di spaventare, se non sconvolgere, Wall Street e la City. Basterà a spingere il mondo politico a intervenire una volta per tutte? Qualcuno se lo augura, perché se un singolo broker in appena 6 settimane può combinare un simile pandemonio, scrive un editorialista del Guardian, dio solo sa quale caos finanziario potrebbe venire scatenato da una crisi prolungata o un crollo dell'eurozona.

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