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5 mar 2012

Seychelles, la prigione dorata dei "pirati" somali

Seychelles, la prigione dorata
dei "pirati" somali

La vita in cella di questi ex pescatori trasformatisi in "manovali" degli assalti in mare. Piccoli guerrieri che si sentono "Robin Hood" per pochi dollari al mese. Ma la loro cattura ha allontanato dalle isole del turismo i rischi della pirateria


MAHE' -  Sono 88, tutti uomini, tra i 20 e i 45 anni. Adesso vivono assieme agli altri. Ma fino a tre mesi fa erano rinchiusi in un settore particolare, costruito solo per loro. Perché si tratta di detenuti molto speciali: pirati somali. Le corvette della marina delle Seychelles li ha sopresi in mezzo all'oceano Indiano. Sono stati catturati, arrestati, processati e condannati. Ora sono rinchiusi nella prigione di Montaigne posée, l'unica di tutte le Seychelles. Si trova sul picco più alto dell'isola di Mahé, all'interno di una struttura che tre secoli fa era una specie di oasi per gli schiavi. Il solo luogo, lontano da tutti e tutto, che si erano conquistati: l'hanno chiamato la montagna del riposo.

La nuova Cayenna dei banditi del mare è un a struttura antica che ancora ricorda la tipica architettura creola dell'atollo. Un corpo centrale, circondato da altri tre, con i tetti spioventi in lamiera, le pareti in legno ornate da colonne e rilievi coloniali. Una sezione ospita le donne, le altre due gli uomini. Ma solo una di queste è interamente occupata dai pirati. Gente del Puntland, del Somaliland, della Bassa Shabelle. Persone semplici, la maggioranza ex pescatori che con la caduta di Siad Barre, nel 1991, hanno abbandonato reti e ami e si sono buttati in uno dei business più lucrosi di questa aerea del mondo. Sono i manovali degli assalti in mare. Dietro, si muove la grande macchina della pirateria: dalla raccolta di informazioni al riciclaggio dei
riscatti.

In apparenza docili e remissivi, si sentono dei guerrieri: piccoli Robin Hood che tolgono ai ricchi per sfamare i poveri. Ma nella realtà queste bande di disperati accettano di restare in mare per un mese, di lanciarsi all'inseguimento delle navi di ogni bandiera e stazza, di espugnarle con tecniche sempre più raffinate. Per mille dollari. Una fortuna per gente abituata a campare con meno di un dollaro al giorno. Possono morire oppure essere catturati, arrestati, processati, condannati. Come è successo a questi uomini. Sostavano con i loro pescherecci camuffati al confine delle acque internazionali e per sei mesi hanno assediato le Seychelles. Nessuna barca poteva allontanarsi dalla costa di questo splendido atollo. Ne hanno risentito la pesca e il commercio, ha spaventato l'industria del turismo, ha ridotto l'arrivo delle  grandi navi da crociera, distrutto il diporto, con centinaia di yacht che fino a due anni fa riempivano le marine e le anse delle 125 isole dell'arcipelago ora desolatamente vuote.

"Sono stati catturati in diverse operazioni", ci spiega Maxime Tirant, il direttore di Montaigne posée. "Il governo si era stancato di questa minaccia che stava strangolando la nostra economia. Anche noi aderiamo alla missione Atlanta che pattuglia le coste dell'Africa orientale fino al Golfo di Aden. Ma i pirati, alla fine, ce li siamo trovati in casa. Le Seychelles sono sempre state un ottimo rifugio delle flotte dei corsari. Senza il nostro intervento le avrebbero conquistate. Questo è il nostro paradiso. Vogliamo conservarlo e tutelarlo. Perché dà da vivere a 90 mila persone".

Dopo una serie di incursioni a vuoto, la Marina locale ha sferrato degli attacchi mirati. Ha controllato tutti i battelli, grandi e piccoli, che sostavano al confine delle acque territoriali e ha spezzato l'assedio. "Non sempre si riescono a trovare le prove", ci spiega il direttore del carcere. "Soprattutto le armi. Le gettano in mare prima dell'arrivo di un a nave militare. Certo, a bordo non hanno né reti, né pesce. Non sanno giustificare la loro presenza così lontano dalle coste somale. Ma in aula, davanti ad una corte, le accuse vanno dimostrate". Così solo 60 imputati su 85 sono stati condannati con pene che vanno dai 5 ai 22 anni; 25 sono stati prosciolti. "In ogni caso", spiega ancora il Maxime Tirant, "non sconteranno la pena in questo carcere. Abbiamo raggiunto degli accordi con i diversi stati somali. Una decina sono già stati rimpatriati. Saranno le autorità locali a decidere la loro sorte".

Catturare e condannare i pirati non è semplice. La legislazione sulla materia è vaga, il diritto internazionale impone una procedura che è spesso difficile da rispettare. Senza considerare le possibili conseguenze: avere in mano dei pirati somali, legati ad uno dei più potenti network criminali al mondo, può trasfornarsi in una bomba pronta ad esplodere. Attentati, sequestri, azioni dimostrative.Le Seychelles si sono limitate a difendere il loro territorio. Un deterrente che sembra funzionare. Le navi cariche di banditi pronti all'arembaggio si sono allontanate nel cuore dell'Oceano Indiano.

Maxime Tirant deve pensare agli altri 500 detenuti della sua piccola prigione. La maggioranza è accusata di traffico di droga. Droga pesante, eroina. Il piccolo atollo si trova a fare i conti con un fenomeno inaspettato. Centinaia di giovani si bucano. Soprattutto ragazze. In pochi mesi sono diventati tossici. Li vediamo anche noi: vagano tutto il giorno alla ricerca di denaro per la dose quotidiana.

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