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10 giu 2014

«Noi di Google non siamo complici del sistema di sorveglianza di massa» Eric Schimdt, a capo del colosso di Mountain View: «Su internet imparate dall’Estonia, l’intero paese lo usa»

Google non ha un ufficio a Roma. L'incontro è al quarto piano di un palazzo vetri e alluminio vicino al ministero dell'Agricoltura. Nessuna insegna, niente scritte. Fuori un caldo sfacciato. La scritta GOOGLE appare all'ingresso, su una parete interna. Tre stanze e un corridoio, ribattezzato Via YouTube (targa in finto marmo capitolino). La sobrietà in trasferta di una delle società più ricche e potenti del mondo. Eric Schmidt, il grande capo, 59 anni, camicia e cravatta, aspetta in sala-riunioni chino sul MacBookAir.

Schmidt e Severgnini Schmidt e Severgnini

Spiega che le foto dobbiamo farle prima o dopo l'intervista («Due cose insieme non riesco a farle»). È venuto, dice, per ragionare con l'Europa, «ma non posso dire come condurla». La prima domanda, quindi, è obbligatoria.
Dove condurrebbe l'Europa?
«Ho passato due settimane a parlare con molti leader europei, ma non c'è accordo sui problemi. E perciò non c'è accordo sulle soluzioni. Bisogna decidere quali sono i problemi. Al primo posto io metto la crescita economica».
Una domanda più facile — fino a un certo punto. Se lei fosse un editore tradizionale, proprietario di una testata affermata, cosa farebbe oggi?
«Lasci che le faccia io una domanda. Le vendite stanno aumentando o scendendo?» Le vendite scendono, nonostante l'aumento delle copie digitali.


«Be', dovrei prenderne atto: i cittadini si stanno muovendo verso il digitale e la gente che comprava i giornali oggi li legge su smartphone e tablet. Bisogna inventare una strategia basata sul fatto che i tuoi lettori stanno là. Ci sono tre modi per farlo: puoi avere un paywall, puoi usare un modello gratuito oppure trovare uno sponsor».
Come avrà letto nel rapporto Innovation del New York Times...
«Si sta riferendo al rapporto interno? Non l'ho letto. Pare sia un documentoriservato e io non leggo leaked documents (fatti uscire di nascosto)».
D'accordo. Glielo dico io. In quel rapporto si legge: ormai i lettori arrivano agli articoli non più dalla homepage ma da link diretti. Spesso da Google News, il più grande aggregatore di notizie al mondo. Perché allora molti nei media non vi amano?
«Deve chiederlo a loro. Noi continuiamo a dirglielo: siamo i vostri migliori amici! Noi non produciamo notizie, mandiamo i lettori verso i vostri siti».

I giornali sono prevedibili?
«Molte notizie sono ripetitive. "Il presidente Obama ha tenuto un discorso annunciando il programma e poi è volato a Miami": ci sono migliaia di siti che dicono questo, scritti da migliaia di giornalisti. Non c'è un vero insight, un'analisi, spesso manca un punto di vista. Le notizie normali hanno sempre meno rilevanza, troppa gente racconta le stesse cose. Mettiamola così: chi organizza i dieci titoli principali della giornata non offre un grande valore». 
Lei è arrivato a Google nel 2001. Si aspettava che l'atteggiamento generale verso la vostra società cambiasse tanto in questi anni?
Quando sono arrivato a Google non avrei mai immaginato che avremmo avuto questo successo. E poiché il nostro prodotto è gratuito, mi ero illuso che tutti potessero essere gentili con noi... (sorride)».
È un atteggiamento che vi preoccupa? Per questo avete reagito tanto velocemente alla decisione della Corte di Giustizia Europea sul diritto all'oblio?

«Lasci che le spieghi la questione. La decisione della Corte di Giustizia è chiara: se non sei una persona pubblica e l'informazione non è rilevante per l'opinione pubblica, puoi chiedere a Google di rimuovere quell'informazione. Questa decisione, le dirò, ci ha stupito. È un equilibrio delicato quello tra il diritto all'oblio e il diritto a sapere, e noi pensiamo che la Corte abbia trovato l'equilibrio nel punto sbagliato. Ma poiché siamo ligi alla legge e la legge è chiara, la rispettiamo; e abbiamo deciso di farlo nel modo migliore. Stiamo assumendo persone che guarderanno a ogni caso in base ai principi stabiliti dalla Corte. In settembre e ottobre organizzeremo un touchiedendo direttamente ai cittadini come affrontare i casi più complicati. Ci sarò anch'io».
E finanzierete voi tutto questo?
«Certo, non abbiamo scelta. Poniamo che un uomo abbia commesso un omicidio vent'anni fa e ora pretende che la notizia venga rimossa. Noi ci rifiutiamo e lui ci denuncia. Se l'autorità nazionale per la protezione dei dati gli dà ragione e ci ordina di farlo, noi rimuoviamo quell'informazione».
Poiché in America questo non è necessario, per sapere tutto di una persona molti andranno su Google.com anziché su Google.it. Non è così?
«Non ho una risposta a questa domanda. Noi mettiamo in pratica le decisioni europee. Deve parlarne con i suoi leader politici e con la Corte di Giustizia».
Ho intervistato Glenn Greenwald al Corriere: sostiene che non avete opposto resistenza alla sorveglianza di massa.
«Lo so. Ho letto il suo libro. Si sbaglia. Voglio essere chiaro. Le affermazioni di Greenwald sono false e lui lo sa. Punto uno: non eravamo consapevoli che la Nsa (National security agency, Usa) o il Gchq (Government communications headquarters, Uk) avessero accesso ai nostri servizi interni. Punto due: non abbiamo collaborato con loro. Quando, tempo dopo, è uscito un documento da cui risultava che il Gchq in effetti intercettava il traffico tra i nostri server, immediatamente abbiamo criptato tutto, Gmail verso Gmail e sempre di più Gmail verso non Gmail. Ma queste intrusioni ci hanno fatto arrabbiare. Molto».
E oggi?
«Posso dirle: se vuole che qualcosa sia protetto, lo dia a Google. Una delle conseguenze di quello che io considero lo spionaggio illegale della Nsa è questa: la tech industry ora ha reso la vita molto difficile a chi vuole fare queste cose. Un pezzo recente nel Nyt racconta: Microsoft, che ha fatto cose cattive con la Nsa, adesso ha visto la luce ed è impegnata a criptare tutto! È una cosa che ho detto con chiarezza, al presidente Obama e ad altri: solo perché potete fare qualcosa non significa che dovete farlo. Pensavano di potersela cavare, che noi non avremmo reagito: è stato un errore». 
«L'identità sarà il bene più prezioso per i cittadini del futuro, ed esisterà innanzitutto online».
«Lo so. L'ho scritto io».
Un'altra frase che l'ha resa celebre, e non sta nel suo libro The new digital age: «Se c'è qualcosa che non volete far conoscere, forse quella cosa non avreste dovuto farla, tanto per cominciare». Mi dica: si applica anche al sesso?

«Conosco quella citazione. Mi domando perché non venga riportato l'intero paragrafo. Mi riferivo al Patriot Act, quindi alla sicurezza nazionale. Ecco perché questa cosa mi irrita tanto: viene usata contro di me fuori contesto».
Ha letto The Circle di Dave Eggers? Mi chiedevo se l'autore ce l'avesse con voi di Google, con Facebook, con Microsoft o con tutti quanti insieme.
«Cerco di non vedere film e non leggere libri sulla mia industria».
Non ha letto neanche il libro su Steve Jobs?
«Steve Jobs era un caro amico, non ho bisogno di leggere quel libro. Io sono nel libro».
Non ha visto neanche The Social Network, sulla nascita di Facebook?
«Preferisco guardare i film italiani».
Jeff Bezos racconta di aver capito l'importanza di Internet nel 1994, lo stesso dice Bill Gates... Lei quando ha capito che si trattava di una rivoluzione e non di una moda?
«Quando mi hanno mostrato Mosaic (uno dei primi browser, ndr) nel gennaio 1991 (cerca su Google). Anzi no, era il 1993».
Lei ha incontrato leader di tutto il mondo. Conosce e viene ascoltato da Barack Obama. Chi capisce meglio la Rete?

«Il presidente di Singapore è un computer scientist. Il presidente dell'Estonia ha capito tutto. L'intero Paese è su Internet. Vediamo quant'è grande l'Estonia (cerca su Google): popolazione, 1,3 milioni. Formidabile».
In Italia potremmo migliorare?

«Il motore dell'Italia sono le piccole e medie imprese. Ma i clienti sono in tutto il mondo. Quindi: primo passo, un website e una connessione adeguata. Internet non è abbastanza veloce, è una questione che il vostro governo deve affrontare rapidamente. Tutti gli italiani devono andare online: subito».

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