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6 giu 2014

“Leftover”, le zitelle in Cina Un libro denuncia il fenomeno

Le chiamano leftover. Letteralmente: le avanzate, i “resti”. In ideogrammi si scrive: sheng-nu. Sono giovani donne cinesi, di 27, 30 anni al massimo, che non sono sposate, non hanno messo su famiglia, non hanno ancora procreato. Non è un modo di dire. Né un termine politically correct per indicare le “zitelle” o le “felicemente” single. In questo aggettivo è racchiuso il cuore nero di una campagna fortemente sessista che il governo cinese sta portando avanti sorretto dai principali media e dalla stessa All China women’s federation (un’organizzazione governativa fondata nel 1949, allo scopo di difendere i diritti degli uomini) da qualche anno a questa parte. Almeno dal 2007, denuncia la sociologa cinese Leta Hong Fincher, che nel suo nuovo saggio Leftover women: the resurgence of gender inequality in China analizza l’inquietante fenomeno che spinge ragazze ben istruite, con una carriera avviata e una professione solida, a vergognarsi del desiderio di affermarsi come persone, del loro status di single o, semplicemente, di non essersi ancora decise a prendere marito. E, di conseguenza, le invita ad abbandonare al più presto sogni e aspirazioni per entrare nella vita “adulta” con il più classico e il più dogmatizzato dei riti: il matrimonio.
Che in Cina non vuol dire solo fare figli, ma anche (finalmente) uscire dalla casa dei genitori, impresa a dir poco titanica per le twenty-something di Shangai o Pechino che, anche qualora abbiano un lavoro e uno stipendio, sono scoraggiate dai parenti o dagli stessi fidanzati nell’acquisto di un appartamento. Già, perché non conviene a una ragazza “bene” essere proprietaria di un immobile.
È una prerogativa, questa, del marito: che si intesterà la casa sulla quale la donna, in caso di divorzio, non potrà avanzare pretesa alcuna. E così, osserva ancora Hong Fincher, nella Repubblica Popolare il sesso femminile è rimasto del tutto escluso dal boom immobiliare che ha coinvolto le megalopoli. Il governo vuole che le donne più educate e preparate si sposino e diano eredi sani e intelligenti al paese. Vi stupisce? La società cinese non ama le imperfezioni; l’eugenetica, anche in chiave sociale, è un obiettivo perseguito con malcelata costanza da Pechino. E poi, sottolinea ancora Hong Fincher, c’è anche un problema di ordine sociale: donne non sposate uguale insicurezza e disordine per la società. E un’altra rivoluzione non è nei piani del politburo. Così, mentre la minaccia dello stereotipo pende sulle teste di queste ragazze (sei giovane e intraprendente, vuoi viverti la vita, guadagnarti un posto nel mondo, ma sei donna: ti tocca fare figli perché tutte lo fanno), anche l’occupazione femminile è drasticamente crollata: dal 77,4% al 60,8%. Nel libro non mancano per fortuna modelli positivi: attiviste e blogger, oppure professioniste che hanno puntato alla carriera: tutte fonte di ispirazione per le leftover incallite. La bellissima e super lanciata attrice Yao Chen (è entrata nella classifica Forbes delle donne più potenti) ne è un esempio, con le sue relazioni fluide, la sua vita libera e all’insegna dell’affermazione di sé e del suo talento.
Ps: non ci chiamano leftover, e ci mancherebbe. Ma alzi la mano chi, al di qua della Città Celeste, tra noi trentenni che attraversiamo il guado tra la giovinezza e l’età adulta al netto di figli e famiglia, non si è mai sentita addosso uno sguardo inquisitore e un tantino preoccupato quando dichiariamo il nostro status. E poi, a ruota la domanda (retorica): «Ma non sarà ora di mettere la testa a posto?». Il più delle volte è una semplice battuta, vero. Ma (forse) nasconde qualcosa di meno sottile e più radicato. Qualcosa che, talvolta, ci fa sentire meno libere. Proprio come le ragazze di Pechino.

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