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29 apr 2013

La rivoluzione di Xi e signora Il lusso in Cina non tira più

Le griffe europee accusano un forte calo di profitti

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO - «I giorni del miracolo cinese? Sono finiti». L'allarme suona
tra i grandi marchi internazionali del lusso, che in questi anni di
crisi in Occidente hanno resistito bene grazie al mercato della
Repubblica Popolare diventata seconda economia del mondo. Da giugno
dell'anno scorso è stata registrata una frenata che in alcuni settori
ha toccato il 30-40 per cento. I motivi sono complessi: vanno dal
rallentamento fisiologico nella crescita della Cina, fino alla nuova
situazione politica, con «l'effetto Xi e signora».

Il primo segnale è venuto l'anno scorso a giugno: le vendite nell'alta
moda e luxury goods hanno cominciato a declinare. Perché? «Erano i
giorni in cui la leadership di Pechino preparava il grande ricambio al
vertice, con l'elezione del nuovo politburo e del segretario generale
del partito comunista», dice Lelio Gavazza, esperto del settore e
membro di Osservatorio Asia. «In pratica, c'era incertezza su quali
funzionari fossero destinati a salire e quali a scendere, quindi i
cinesi non sapevano chi dovessero ingraziarsi facendo regali costosi».

Poi è cominciata l'era di Xi Jin- ping e come primo atto il nuovo
segretario generale, nonché capo dello Stato, ha lanciato una campagna
anti-corruzione e contro le «spese stravaganti» dell'enorme apparato
burocratico del Paese. E la frenata si è consolidata. Nel primo
trimestre del 2013 la crescita del Prodotto interno lordo si è fermata
al 7,7%. Era stata del 7,9% nel trimestre precedente. La flessione
dello 0,2% ha mandato in fibrillazione gli uffici studi. Secondo il
dottor Lu Ting della Bank of America Merril Lynch «il fattore che più
ha inciso sulla flessione» sarebbe proprio la nuova moderazione dei
funzionari di partito e pubblici: «10 milioni di loro hanno carte di
credito governative con le quali in media spendevano 5.800 dollari
l'anno. Il totale fa 58 miliardi di dollari».

Possibile che sia bastato il richiamo all'ordine del presidente, per
quanto carismatico possa essere, a tagliare gli acquisti nella gran
palude della burocrazia? Il monito di Xi Jinping ha scatenato i
cittadini comuni, soprattutto quelli della classe media, che si sono
messi a caccia di corrotti e spendaccioni. Due casi di questi giorni:
il segretario del partito in una zona terremotata del Sichuan è stato
fotografato nelle zone del disastro, non aveva l'orologio, ma sul
polso c'era un'impronta chiara. I bloggers hanno fatto ricerche e
hanno rilanciato immagini in cui il compagno Fang Jiyue sfoggiava
(pare) un Vacheron Constantin da 20 mila euro. Un altro episodio da
caccia alle streghe anti-corruzione, che ricorda anche la Rivoluzione
Culturale: il boss del partito in una città del Jiangsu sorpreso
mentre faceva baldoria in un locale notturno, che ha preso un
megafono, si è inginocchiato e ha invocato pietà. Lo hanno rimosso
comunque.

Ma il malcostume occupa solo una frazione del mercato. Un altro
problema è che ai cinesi cominciano a piacere nuovi marchi del lusso
oltre a quelli europei, sta emergendo il created in China da stilisti
locali. E qui entra in gioco la moglie del presidente Xi,
l'affascinante signora Peng Liyuan, che sta facendo da traino
mostrandosi in pubblico con i suoi vestiti disegnati a Shanghai.

Daniel Jeffreys, direttore di Quintessentially Magazine , bibbia del
fashion per milionari, racconta di aver fatto un sondaggio: oltre il
70% dei loro clienti pensa che entro cinque anni il created in China
sfiderà le griffe straniere. Ma i cinesi hanno il know how , la
conoscenza per produrre in proprio in questo campo? «Presto - prevede
Jeffreys - Pechino dovrà giocare secondo le regole, mettendo fine
all'industria del falso: a quel punto milioni di lavoratori e
artigiani che ora replicano Gucci, Dior, Louis Vuitton, dovranno
essere riciclati e produrranno oggetti e abiti di qualità pensati
qui».

Ultimo problema: i cinesi sanno che molti gadgetoccidentali vengono
venduti sul loro mercato a prezzi gonfiati. Il Wall Street Journal
accusa Mercedes, Bmw e Audi di far pagare in Cina le loro berline di
alta gamma il 64% in più rispetto agli Usa. Auto che pure sono
prodotte da operai cinesi, in fabbriche cinesi. Giocano sui prezzi
anche le griffe: per esempio la borsetta Joy Boston di Gucci qui costa
881 euro, in Europa 545 (+62%); la Speedy di Louis Vuitton a Pechino
viene 746 euro, nella Ue 540 (+34%).

Addio vecchia Europa? «No, i cinesi hanno cominciato a viaggiare, 100
milioni di turisti quest'anno: con le nostre capacità e i prezzi che
nelle nostre boutiques sono più competitivi, possiamo convincerli a
comprare da noi quegli orologi, scarpe, borse, vestiti che fino ad ora
hanno trovato solo in Cina», prevede Osservatorio Asia.

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