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31 mar 2013

La parabola di Bersani. Da Palazzo Pigi alla missione fallita


ROMA - Si può essere ex di qualcosa che non si è mai stati? Per quanto possa sembrare paradossale, è questa la crudele sorte che il precipitare della situazione politica pare aver riservato a Pierluigi Bersani. Nel giro di meno di un mese il segretario del Pd è passato dallo status di presidente del
Consiglio in pectore a quello di "ex premier incaricato".

Fatta la tara degli insulti di Beppe Grillo, infierire nei confronti di una figura politica alla quale solo una esigua minoranza di incalliti nemici nega quanto meno la patente di persona seria e perbene è quanto mai crudele. Di certo la parabola del 62enne di Bettola, piccolo comune delle colline piacentine, si presta ad essere raccontata con una certa dose di feroce sarcasmo. Tanto più feroce se si riconoscono a Bersani quanto meno le doti di autoironia e sobrietà. Se qualche mese fa negli ambienti del Pd Palazzo Chigi era già stato scherzosamente ribattezzato "Palazzo Pigi", la colpa non è certo della tracotanza di Pierluigi, ma piuttosto dell'incapacità sua e del suo entourage di saper capire gli umori del Paese. Ma tant'è, il risultato non cambia, e alla fine consegna il leader del Pd (ma fino a quando?) alla galleria dei grandi trombati della storia. 
 
A rileggerle con il senno di poi le sue surreali metafore sono forse la più impietosa delle condanne. Talmente surreali e autocompiaciute che alla fine è persino difficile distinguere tra quelle autentiche e quelle apocrife confezionate da quel genio della satira che è Maurizio Crozza. Siamo mica qui a pettinar le bambole, ad esempio, è farina del sacco di Bersani o del comico genovese? Di certo è di Bersani la battuta più ridicola etafazziana alla luce del risultato elettorale, quel voler "smacchiare il giaguaro" che a un certo punto della campagna elettorale sembrava essere diventato "il punto unico" di un programma di governo che ha poi cercato in fretta e furia di ampliare fino a otto. 

Del resto se da tecnico, alla guida del ministero dello Sviluppo, Bersani aveva riscosso consensi ampi grazie a provvedimenti innovativi e genuinamente popolari come la portabilità dei mutui o l'obbligo per le compagnie di assicurazione di spedire a casa l'attestato di rischio, da leader nazionale il segretario è arrivato alla sfida per Palazzo Chigi con un ricco bagaglio di sconfitte. Negli anni della sua segreteria, iniziata nell'ottobre del 2009 all'indomani della sconfitta di Walter Veltroni alle politiche, le ironie si erano concentrate in particolare su quella specie di "tocco di Mida" alla rovescia di cui sembrava dotato in occasione delle primarie per le amministrative. Da Milano a Palermo, da Genova a Napoli, i candidati per i quali ha fatto endorsement sono risultati inevitabilmente o perdenti (aprendo la strada alla vittoria del centrosinistra) o vincenti, ma destinati a essere sconfitti alle elezioni vere e proprie.       

Una qualità non esattamente di buon auspicio in vista della partita più importante per il governo nazionale, ma che il successo delle primarie sembrava aver fatto dimenticare. Il successo nella gara tutta interna al centrosinistra e la sua capacità di riportare un po' di ordine e di unità in un partito che sino a quel momento aveva conosciuto soprattutto risse, divisioni e litigi aveva illuso molti sulle sue capacità di leadership.
Evidentemente navigare in mare aperto verso orizzonti lontani è diverso dal dover manovrare tra scogli, secche e insidie varie. Ora che i sorrisi e le braccia alzate per la vittoria su Matteo Renzi sembrano un ricordo tanto lontano quanto crudele, il rischio è che il segretario che voleva arrivare a Palazzo Chigi "con il passo lento dell'alpino" debba tornare a Bettola con quello veloce del bersagliere. (di V.G.) 



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