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11 ott 2012

I tagli agli stipendi (sopra i 90mila euro) dei dirigenti pubblici sono incostituzionali. Lo ha deciso la Consulta

 tagli alle retribuzioni superiori ai 90mila euro dei soli dipendenti pubblici, previsti dal decreto legge numero 78 del 2010, sono incostituzionali. Lo ha deciso la Consulta, stabilendo in particolare l'illegittimità dell'articolo 9, nella parte in cui dispone che a decorrere dal primo gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 «i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro». Per la Corte, «il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio».

A giudizio della Consulta le disposizioni governative si pongono «in evidente contrasto» con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 53 ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva....") della Carta fondamentale. «L'introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto - si legge nella sentenza - ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione víola, infatti, il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante». Secondo i giudici delle leggi "da un lato, a parità di reddito lavorativo, il prelievo è ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici. D'altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) il contributo di solidarietà (di indubbia natura tributaria) del 3% sui redditi annui superiori a 300.000,00 euro, al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalità, l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura».


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«Nel caso in esame, dunque, l'irragionevolezza - spiega la Consulta - non risiede nell'entità del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. La sostanziale identità di ratio dei differenti interventi di solidarietà, poi, prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un 'universale' intervento impositivo». La Corte costituzionale non nega il potere del Governo di intervenire sulla materia: «L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare - argomenta la sentenza - è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l'ordinamento costituzionale. In conclusione, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio».

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