Se decidiamo di impegnarci contro le distrazioni, diventiamo in realtà più lenti e meno efficienti
DUE STRADE - Conseguenza: «Il cervello ha sempre un dilemma da risolvere», precisa Maravita. «O sceglie di abbassare la concentrazione, sapendo di perdere un po' in efficienza, ma di essere più resistente ai diversivi, oppure decide di tenere alta la concentrazione sul compito principale a costo di sbagliare più facilmente all'arrivo di una distrazione». Succede perché la consapevolezza di dover affrontare delle distrazioni, anche se nella realtà non esistono, ha comunque un effetto negativo sulle nostre prestazioni, anche quando la distrazione è solo potenziale».
TEST - Per verificare la teoria, il gruppo di ricerca ha eseguito diversi test su un campione di 126 studenti universitari, con un'età media di 26 anni. Nel primo esperimento i partecipanti dovevano tenere tra le dita di entrambe le mani due stimolatori tattili vibratori, e tramite una pedaliera dovevano indicare quale dito stava ricevendo la vibrazione, cercando di non prestare attenzione all'elemento di distrazione: una luce rossa intermittente che si accendeva vicino alle dita. Negli altri test, basati sullo stesso principio di funzionamento, sono stati utilizzati altri elementi di distrazione, di tipo tattile e uditivo. Non soltanto visivo.
DISTRAZIONE - «Il fenomeno coinvolge tutti i nostri sensi», aggiunge l'esperto, «per cui probabilmente il meccanismo ha origine nella regione prefrontale del cervello, dove si trova una sorta di 'centrale di controllo' sopramodale degli stessi sensi». Ma quanto siamo distratti "ad alta concentrazione"? Nell'esperimento in cui non ci sono distrazioni, si viene «distratti» dall'idea stessa di ricevere una distrazione. In numeri, si traduce in una prestazione peggiorata del 10%. «La velocità di risposta media passa da 439 millisecondi a 479. In ogni caso, alla fine il cervello decide automaticamente quale livello di concentrazione utilizzare per far bene ogni cosa. Si modula da solo, compiendo delle fluttuazioni».
APPLICAZIONI - Molteplici le possibili applicazioni della ricerca in campo medico. «Per esempio, possiamo esaminare il grado di attenzione di chi ha avuto un ictus o un trauma cranico, e come reagisce alle terapie. Il test è semplice, richiede una minima collaborazione da parte del paziente e i risultati si ripetono in maniera stabile. Oppure possiamo individuare quanto una persona è 'allenata' agli imprevisti, penso ai piloti o agli assistenti di volo». Il prossimo passo sarà quello di usare la tecnica su soggetti con più di 30 anni per osservare le differenze in relazione all'età.
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